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PMI italiane in affanno: clima d’impresa sotto la soglia di neutralità nel 2025

di Redazione
Il Rapporto 2025 del Centro Studi Confimprenditori fotografa un sistema di PMI resiliente ma strutturalmente debole, con indice medio a 96,5 punti, investimenti contenuti e credito sempre più oneroso.

I dati del nuovo Rapporto del Centro Studi Confimprenditori – Indice Nazionale del Clima d’Impresa delle PMI 2025 – restituiscono una fotografia chiara e senza alibi dello stato di salute del sistema produttivo italiano. Le piccole e medie imprese resistono, ma continuano a muoversi in un contesto di debolezza strutturale che ne limita le prospettive di crescita.

«L’Indice del Clima d’Impresa delle PMI si attesta su una media annua di 96,5 punti, quindi al di sotto della soglia di neutralità fissata a 100. Un dato che segnala un clima complessivamente negativo, nonostante una parziale ripresa registrata nel corso dell’anno. Il valore minimo è stato toccato nel primo trimestre, con 92 punti, penalizzato da inflazione, tassi di interesse elevati e incertezza normativa. Nel terzo trimestre l’indice è risalito fino a 101 punti, grazie alla riduzione dei costi energetici e alla crescita dell’export verso i mercati extra-UE, per poi ridiscendere nel quarto trimestre a 98 punti, complice il rallentamento della domanda europea». Lo ha detto il presidente di Confimprenditori, Stefano Ruvolo, presentando a Roma il Report ICI delle PMI 2025.

«Il campione analizzato, – prosegue – composto da 1.250 PMI italiane appartenenti ai principali settori produttivi e distribuite su tutto il territorio nazionale, evidenzia criticità profonde. Solo il 41% delle imprese prevede una crescita del fatturato, mentre il 37% teme un calo dei ricavi. Gli investimenti restano deboli: nel 2025 ha investito appena il 44% delle PMI, e solo il 21% lo ha fatto per importi superiori ai 100 mila euro. Particolarmente allarmante è il dato sull’accesso al credito: il 62% delle imprese segnala un peggioramento delle condizioni bancarie, con un tasso medio applicato del 6,1%, quasi il doppio rispetto al 2021. A questo si aggiunge il nodo dell’energia, il cui costo per le PMI manifatturiere resta più alto del 28% rispetto alla media europea, comprimendo i margini e riducendo la competitività. Sul fronte dei mercati emerge un elemento ormai strutturale: la domanda globale tiene, quella europea no. Solo il 31% delle PMI esporta in modo stabile, ma tra queste il 57% ha aumentato le vendite verso i mercati extra-UE, in particolare Stati Uniti, Svizzera e Paesi OPEC. L’Europa continua invece a rappresentare il principale fattore di rallentamento, a causa di una crescita debole e di una progressiva perdita di slancio industriale».

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