Giuseppe Bozzini: «Sanità, immigrazione e appalti…temi che non si possono più eludere»
di Matteo ScolariNel confronto promosso da Focus Verona Economia, che ha visto partecipare Giampaolo Veghini (CISL), Francesca Tornieri (CGIL) e Giuseppe Bozzini (UIL), il coordinatore della UIL Veneto e Verona ha espresso una posizione netta: la politica parla molto in campagna elettorale, ma affronta poco i nodi strutturali del lavoro e dei servizi pubblici. Bozzini denuncia la mancanza di confronto con i sindacati, indica le emergenze della regione e richiama la necessità di una riforma degli appalti e di un approccio realistico al tema dell’immigrazione.
Bozzini, a differenza degli altri sindacati, la UIL Verona ha deciso di non incontrare i candidati. Perché?
Abbiamo scelto di non partecipare a questa “corrida” elettorale. Negli anni abbiamo visto che gli incontri con i candidati si trasformano in momenti di propaganda, senza reale disponibilità ad assumere responsabilità nei confronti delle organizzazioni sindacali. In più, negli ultimi anni c’è stata scarsa volontà da parte delle forze politiche di confrontarsi sulle questioni del lavoro. Preferiamo evitare incontri che non portano a risposte concrete.
Quali sono, secondo voi, le vere priorità che la Regione non sta affrontando?
Due questioni sono centrali: l’invecchiamento della popolazione e il fatto che non si fanno più figli. Questi fenomeni avranno un impatto enorme sul lavoro. Le imprese avranno sempre più difficoltà a trovare forza lavoro. E a questo si aggiunge un tema che i candidati evitano accuratamente: l’immigrazione.
Non è possibile attrarre forza lavoro senza una politica seria sull’immigrazione. Tutti lo sanno, ma nessuno lo dice per non scontentare gli schieramenti politici. Se vogliamo far crescere l’economia veneta, dobbiamo affrontare il tema in modo concreto.
Sul fronte sanitario: il Veneto resta un modello, ma deve cambiare?
Il Veneto ha una sanità di eccellenza, ma dovrà confrontarsi con cambiamenti epocali. Con l’età media che si alza, la domanda di servizi sociosanitari aumenterà rapidamente. Servono servizi vicini alle persone, e questo richiede risorse, personale e una programmazione precisa.
Le ATS sono un esempio delle criticità: siamo l’ultima regione ad affrontare questo tema e non lo stiamo facendo con un programma chiaro. Gli attori non si incontrano nemmeno per discutere. In campagna elettorale tutti parlano di sanità, ma serve progettazione vera, non annunci.
Avete parlato spesso della necessità di maggiore partecipazione nella governance sanitaria. Cosa manca oggi?
Serve confronto. La sanità non può essere diretta da un’unica testa che decide tutto, come è accaduto negli ultimi anni. Non si può, da un lato, chiedere partecipazione e dall’altro accentrare le decisioni. Per mantenere un sistema sanitario di qualità, bisogna aprirsi alle istanze del territorio, ascoltare chi lavora nella sanità, i sindacati, le comunità locali.
E poi servono risorse. La Regione potrebbe investire di più, ma il problema principale è nazionale: il governo negli ultimi anni ha investito poco sul sistema sociosanitario. Senza fondi non si va da nessuna parte.
Il tema degli appalti è stato uno dei più discussi nel dibattito. Perché è così decisivo?
Perché lì si gioca una grande parte della qualità del lavoro. È inaccettabile che imprese pubbliche o partecipate mettano a bando servizi al massimo ribasso, senza garantire contratti corretti, norme di salute e sicurezza o standard adeguati.
Siamo nel 2025 e continuiamo a vedere appalti che non rispettano i contratti. La Regione deve imporre criteri chiari e vincolanti.
Abbiamo provato anche a costruire percorsi innovativi: penso al protocollo proposto anni fa per mettere insieme INPS, INAIL, Centri per l’Impiego e sindacati per analizzare il mismatch tra domanda e offerta e contrastare il lavoro irregolare. Non se n’è fatto nulla. Questo dimostra che il lavoro viene spesso usato solo come strumento per produrre ricchezza, senza un vero interesse a governarlo.
Come si può affrontare la carenza di lavoratori che colpirà il Veneto nei prossimi anni?
Serve una gestione diversa del mercato del lavoro. Se lasciamo le cose così come sono, avremo salari bassi, lavoro nero, irregolarità e precarietà.
Noi proponiamo un’azione partecipata: mettere insieme dati, enti, imprese e sindacati per programmare la domanda di lavoro, e non inseguirla. Ma serve volontà politica.
La Regione deve anche guardare in faccia la realtà: senza un contributo dell’immigrazione regolare, il sistema produttivo veneto non reggerà. È inutile ignorarlo.
Ultimo tema: i giovani. Come si può rispondere alle nuove esigenze del lavoro?
Dobbiamo prima di tutto ascoltarli. Oggi i giovani non si identificano più con il proprio lavoro come succedeva trent’anni fa. Non vogliono che il lavoro sia tutta la loro vita. Hanno vissuto in un contesto di benessere diffuso e non rinunciano facilmente alla qualità della vita.
Rifiutano turni pesanti, lavoro domenicale, condizioni che non permettono equilibrio tra vita e lavoro. E le aziende devono prenderne atto.
Bisogna costruire un sistema che permetta ai giovani di vivere esperienze diverse, alternando lavoro e vita, senza scivolare nell’insicurezza economica. Le forme di welfare aziendale, contrattuale e territoriale vanno in questa direzione.
Questo è il mondo che sta arrivando, e la politica deve smettere di ignorarlo.
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