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Società Benefit, governance ancora accentrata ma cresce il coinvolgimento dei dipendenti

di Matteo Scolari
La ricerca di Università di Bologna, InfoCamere e Camera di Commercio Brindisi–Taranto fotografa un modello in evoluzione: partecipazione interna in aumento, codici etici diffusi ma poca rappresentanza di genere e scarsa integrazione degli indicatori ESG.

Le Società Benefit italiane crescono per numero, peso economico e visibilità pubblica, ma la loro governance mostra ancora elementi di forte accentrazione dei poteri nelle mani di presidenti e amministratori unici. È il quadro che emerge dal report “La governance delle Società Benefit in Italia”, ricerca condotta dal Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, insieme a InfoCamere e alla Camera di Commercio di Brindisi–Taranto, basata sui dati del Registro delle imprese e su una survey che ha coinvolto oltre 3.300 aziende.

Vincenzo Cesareo, presidente CCIAA di Brindisi-Taranto.

Le Società Benefit – introdotte in Italia dalla legge 208/2015 e cresciute da 177 nel 2017 a più di 5.000 nel 2025 – hanno l’obiettivo di integrare finalità economiche e di beneficio comune. Ma, secondo la ricerca, la normativa lascia ampi margini di discrezionalità agli amministratori, rendendo la governance un elemento decisivo per la credibilità del modello. Oggi, infatti, solo il 17% delle imprese intervistate include amministratori indipendenti, mentre appena il 10% ha una politica strutturata di rappresentanza di genere. Nel 53% dei casi il presidente o amministratore unico concentra su di sé sia le funzioni operative che quelle strategiche.

Accanto a queste criticità, la ricerca evidenzia anche segnali di evoluzione positiva. Quasi la metà delle Società Benefit coinvolge i dipendenti nelle decisioni strategiche (44%), mentre un ulteriore 12% li include nelle scelte operative. «Le Società Benefit sono un laboratorio avanzato di governance responsabile» osserva Magalì Fia, docente di Etica e Sostenibilità all’Università di Bologna e coordinatrice scientifica dello studio. «I dati mostrano progressi significativi, ma anche la necessità di rafforzare bilanciamento nelle scelte, partecipazione e formazione etica, per rendere questi modelli pienamente credibili e trasformativi».

Sul piano dei processi interni, il 56% delle imprese dispone di un codice etico, il 53% ha attivato sistemi di segnalazione e il 65% dei CdA discute regolarmente le questioni etiche. Tuttavia, meno della metà offre percorsi di formazione specifica e solo il 12% prevede programmi obbligatori per i membri dei Consigli di amministrazione. Rimane debole anche il legame tra sostenibilità e remunerazione: il 54% delle aziende non utilizza indicatori ESG nelle politiche retributive e solo il 10% li integra nei propri sistemi di valutazione.

Per Vincenzo Cesareo, presidente della Camera di Commercio Brindisi–Taranto, questi risultati sono un punto di partenza per rafforzare le “reti benefit”: «L’interesse cresce insieme ai numeri. È essenziale sviluppare ricerche approfondite che ci permettano di comprendere i punti di forza, ma anche le disomogeneità e gli ambiti di crescita – dalla formazione ai servizi di supporto etico. Da qui nasce la necessità di consolidare ecosistemi condivisi».

Paolo Ghezzi, direttore generale di InfoCamere.

Sulla stessa linea Paolo Ghezzi, direttore generale di InfoCamere, che richiama il valore strategico dei dati pubblici: «Il Registro delle imprese è una risorsa unica per comprendere non solo la crescita di questo modello, ma anche le sue dinamiche interne. Analisi come questa sono fondamentali per politiche informate, decisioni efficaci e una cultura imprenditoriale orientata alla sostenibilità».

Il report indica infine le priorità per il prossimo futuro: diffondere pratiche più strutturate di rendicontazione, ampliare la partecipazione degli stakeholder e rafforzare l’integrazione di metriche etiche e di sostenibilità nei processi decisionali. Passaggi ritenuti essenziali per trasformare il modello delle Società Benefit da nicchia avanzata dell’imprenditoria italiana a leva stabile della competitività sostenibile del Paese.

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