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Stefano Scherini: «Il Sesto Cerchio è la voce delle comunità nello spirito olimpico»

di Matteo Scolari
Il codirettore artistico del progetto racconta come arte, sport e partecipazione si fondano nel percorso che accompagna Verona e Sondrio verso Milano-Cortina 2026.

Lo spirito olimpico può essere raccontato anche attraverso il linguaggio dell’arte e del teatro. È questa la missione del progetto “Sesto Cerchio”, promosso dalla Fondazione Milano Cortina 2026 e diretto da Stefano Scherini, attore e regista, insieme a Francesco Sgrò. L’obiettivo è far emergere il valore delle comunità locali, portando il messaggio dei Giochi dentro il tessuto sociale dei territori olimpici, tra cui Verona, sede della cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici e dell’apertura dei Giochi Paralimpici.

Scherini, partiamo dal nome del progetto: cosa rappresenta il “Sesto Cerchio”?

Il nome nasce da un concetto semplice ma potente. I cerchi olimpici sono cinque, ma noi abbiamo voluto immaginarne un sesto, che rappresenta le comunità che accolgono i Giochi. È il cerchio delle persone, della partecipazione, della cultura e delle relazioni. Il nostro lavoro si ispira all’avverbio latino “Comuniter”, che significa “assieme”, un termine che era nel motto olimpico originale e che abbiamo scelto come filo conduttore di tutto il percorso.

Qual è la missione principale del progetto?

Il nostro obiettivo è portare lo spirito olimpico nelle comunità, non soltanto nelle sedi sportive. Vogliamo che lo sport diventi un linguaggio per raccontare valori condivisi, come il rispetto, l’inclusione, la solidarietà e la tregua olimpica. Lo facciamo attraverso strumenti artistici – teatro, danza, musica, performance – che coinvolgono i cittadini, le scuole, le associazioni e gli enti locali. In questo modo le Olimpiadi non restano un evento distante, ma diventano un’esperienza vissuta dal basso.

Come si sviluppa concretamente il “Sesto Cerchio” nei territori di Verona e Sondrio?

Il progetto è strutturato in una serie di residenze artistiche e produzioni partecipate che toccano le comunità locali. A Verona, per esempio, abbiamo lavorato sul racconto di Fulvio Valbusa, oro olimpico nella staffetta 4X10 km di Torino 2006, trasformando la sua storia in uno spettacolo teatrale che unisce memoria e territorio. A Sondrio abbiamo coinvolto scuole, gruppi sportivi e cittadini in attività di danza e movimento collettivo, perché crediamo che ogni comunità debba poter esprimere la propria identità attraverso il linguaggio del corpo.

Quanto conta il coinvolgimento diretto dei cittadini in questo percorso?

È fondamentale. Il “Sesto Cerchio” vive grazie alla partecipazione reale delle persone. Non vogliamo arrivare nei territori con uno spettacolo già pronto, ma costruirlo insieme alle comunità, attraverso laboratori, prove aperte e incontri. In questo modo le persone diventano protagoniste del racconto, si riconoscono nello spirito olimpico e contribuiscono a diffonderlo.

Avete parlato anche di “Sportytelling”. Di cosa si tratta?

È un altro progetto nato all’interno del percorso verso Milano-Cortina 2026. Si tratta di un ciclo di incontri e narrazioni che uniscono sport, cultura e testimonianze. Parliamo di temi come la parità di genere, la disabilità e l’inclusione, ma anche di storie personali che raccontano come lo sport possa trasformare le vite. L’idea è che il pubblico non sia solo spettatore, ma parte di una conversazione che continua nel tempo.

Cosa spera che resti di questa esperienza dopo i Giochi?

Mi auguro che resti un modo nuovo di fare comunità. Se il Sesto Cerchio riuscirà a lasciare un’eredità culturale, fatta di relazioni, partecipazione e senso di appartenenza, allora avremo raggiunto il nostro obiettivo. Le Olimpiadi passano, ma la loro energia umana e simbolica può restare, se continuiamo a coltivarla insieme.

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