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Mario Bonini: «La scuola deve educare alla consapevolezza e al pensiero critico»

di Matteo Scolari
Il dirigente scolastico dell’Educandato Agli Angeli di Verona racconta le sfide del nuovo anno: dal divieto dei cellulari in classe all’uso dell’intelligenza artificiale, fino al ruolo della scuola nell’educazione alle relazioni e alla comprensione del mondo.

La scuola non è soltanto trasmissione di nozioni, ma anche spazio educativo e sociale in cui crescere, confrontarsi e imparare a leggere la realtà. Temi come il divieto degli smartphone, l’intelligenza artificiale e la necessità di contrastare bullismo e violenza pongono nuove sfide al mondo dell’istruzione.

Nell’ultima puntata di Focus Verona Economia il dibattito si è concentrato proprio su scuola, formazione e futuro. Ospite negli studi di Verona Network è stato Mario Bonini, dirigente scolastico dell’Educandato statale Agli Angeli, che ha offerto una riflessione approfondita sul presente e sul domani dei ragazzi.

Professore Bonini, l’anno scolastico è appena iniziato. Quali sensazioni ha colto in questo avvio?

Ma io trovo che sia un anno un po’ più sereno, nel senso che credo che sia definitivamente passata l’ondata di quel periodo pesante, drammatico per i ragazzi, per la scuola, per le famiglie, che è stato il periodo del Covid. Ormai molte cose sono rientrate, sono diventate ordinaria vita quotidiana e questo si ripercuote su un atteggiamento più sereno, più positivo dei ragazzi e delle famiglie nei confronti della scuola. Io ho trovato ragazzi con voglia di ricominciare, di riprendere, di darsi da fare, pur con queste novità relative al cellulare che ci hanno un po’ messi in un atteggiamento di stupore, però mi pare che al momento le reazioni siano composte e razionali.

La circolare ministeriale ha introdotto nuove regole sull’uso dello smartphone a scuola. Come hanno reagito studenti e studentesse?

Sì, è una novità importante che però si inserisce in un percorso di educazione all’uso consapevole degli strumenti digitali che le scuole hanno già iniziato da tempo. La circolare ministeriale definisce in maniera molto precisa quello che conviene o non conviene fare. Durante le lezioni i cellulari sono proibiti a meno che non sia il docente stesso a decidere di utilizzarli per questioni didattiche.

A parte queste deroghe, il lavoro degli insegnanti è far capire che si può vivere qualche ora senza il flusso continuo di comunicazioni. È un’educazione che serve anche agli adulti, perché spesso facciamo fatica a staccarci da quello che ormai è diventato una sorta di protesi del cervello e dei sentimenti. I ragazzi, se guidati al confronto diretto e non mediato solo dai social, possono apprezzare momenti di scambio personale e autentico. La proibizione da sola lascia il tempo che trova: serve un percorso educativo. Devo dire che i ragazzi hanno accolto con una certa positività questa misura, portando pazienza, anche perché esistono deroghe legate alla didattica o a esigenze personali, come app di salute, che vengono gestite con le famiglie in modo corretto.

E i professori, come hanno accolto questa novità?

I professori sono favorevolissimi perché la distrazione era obiettiva ed era sempre dietro l’angolo. È anche vero che tanti ragazzi hanno il tablet o il PC e prendono appunti con strumenti digitali, quindi non è facile tenere tutto sotto controllo. Alla fine però tutto si riduce alla responsabilità e all’onestà dei ragazzi stessi.

Sono previste sanzioni disciplinari per chi trasgredisce?

Sulle prime c’è una segnalazione sul registro o un richiamo verbale. Se la cosa diventa smaccata, dipende dal regolamento di ciascun istituto: alcuni prevedono procedimenti disciplinari più o meno gravi, altri arrivano al ritiro e alla consegna del cellulare alle famiglie. Personalmente credo che questo sia un terreno pericoloso, meglio evitarlo.

Un altro tema che ha rivoluzionato la scuola è l’intelligenza artificiale generativa. Come la state affrontando?

L’intelligenza artificiale la usiamo tutti, la adopero anch’io, ma va utilizzata in maniera intelligente. Il discrimine è capire esattamente il testo prodotto, la soluzione proposta, e verificarne la correttezza. Trovo interessanti quegli insegnanti che fanno fare i compiti con ChatGPT e poi chiedono agli studenti di individuare le chiavi di costruzione del testo.

Quando rispondiamo a una mail con l’AI, si capisce che il risultato è robotico: certi passaggi lessicali lo tradiscono. Bisogna avere la capacità critica di distinguere l’originalità dall’artificiosità. Se ci si affida ciecamente all’intelligenza artificiale si ottengono prodotti stereotipati e si rinuncia al proprio pensiero.

La scuola deve invece creare linguaggio, campi semantici, ragionamenti appropriati. In Italia l’analfabetismo funzionale è diffuso: anche persone colte e laureate, se allenate solo a testi brevi e comunicazioni veloci, finiscono per avere un bagaglio lessicale e quindi di pensiero ridotto. È una piaga grave.

La scuola deve anche educare alle relazioni e affrontare temi delicati come bullismo, violenza e guerre. Che ruolo può avere?

Si tratta di fare un lavoro quotidiano per dare spazio ai ragazzi, permettendo loro di esprimersi e di trovare adulti interlocutori. L’insegnante non può più essere solo trasmettitore di informazioni: deve anche saper accogliere sentimenti, emozioni e difficoltà.

Molti ragazzi non hanno altri canali oltre la scuola per confrontarsi: è quindi fondamentale che insegnanti ed educatori sappiano cogliere i segnali di disagio, stanchezza o perdita di serenità. Se il malessere si prolunga, bisogna intervenire tempestivamente per evitare conseguenze drammatiche.

Quanto al pensiero critico, la scuola non vive su Marte: deve affrontare le questioni del mondo, dalle guerre ai grandi fatti di cronaca, offrendo tutta la gamma delle idee e dei pensieri. Alcune situazioni vanno definite per quello che sono, senza ambiguità, per formare coscienze critiche.

Ai miei studenti dico sempre: dovete avere il coraggio di informarvi e guardare oltre i sassi che calpestate, verso un orizzonte più ampio fatto anche di umanità sofferente. La scuola non può chiamarsene fuori: deve essere in prima linea con la realtà, anche attraverso il dibattito. In questo i ragazzi sono straordinari, ma vanno guidati. Gli insegnanti che creano dibattiti in classe sono pionieri nel formare mentalità critiche, aperte e pronte al confronto.

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