Sandro Peretti: «La pietra della Lessinia è un esempio concreto di economia circolare»
di Matteo ScolariNel cuore della Lessinia, la pietra non è solo storia e identità, ma anche futuro. Il Consorzio Tutela Pietra della Lessinia, che raggruppa una ventina di aziende e oltre 150 addetti, ha ottenuto un risultato storico: con un decreto regionale del marzo 2025, gli sfridi e i fanghi di lavorazione sono stati riconosciuti come sottoprodotti, e quindi riutilizzabili in progetti di recupero ambientale. Con Sandro Peretti, presidente del consorzio, parliamo di nuove prospettive, sostenibilità e giovani che tornano ad avvicinarsi a questo mestiere.
Presidente, qual è oggi la fotografia del comparto della Pietra della Lessinia?
Siamo circa una ventina di aziende, con 150-200 addetti complessivi. Negli ultimi anni temevamo un calo per l’invecchiamento delle imprese, invece c’è stata un’inversione di tendenza: tanti giovani familiari sono tornati in azienda, con voglia di innovare e guardare al futuro. Resta il problema della manodopera: la disponibilità è scarsa, e la formazione della manodopera straniera richiede impegno su lingua, alloggi e competenze.
Quanto pesa oggi la tecnologia nel vostro settore?
Pur restando un materiale legato all’artigianalità, la lavorazione della pietra è cambiata molto grazie a macchinari innovativi. Non è più un lavoro “sporco e faticoso” come un tempo, ma resta il pregiudizio. In realtà, rispetto ad altri settori, garantisce soddisfazioni economiche e prospettive solide.
Quali sono le caratteristiche della Pietra della Lessinia?
È un materiale unico, parte integrante della nostra architettura. Le strutture della Lessinia, interne ed esterne, sono in pietra. Se da fuori si nota soprattutto negli esterni, è negli interni che la pietra esprime la sua massima eleganza: arredi, rivestimenti, soluzioni che coniugano tradizione e design. È un vero esempio di economia circolare naturale, da sempre sotto i nostri occhi.
Il consorzio nasce anche con una missione di tutela. Che percorso avete fatto?
Circa 15 anni fa abbiamo unito due realtà esistenti, una per la pietra e una per le cave. L’obiettivo era tutelare un materiale limitato, valorizzandolo come patrimonio del territorio. Da sole le aziende sono piccole, ma unite possono affrontare anche commesse grandi. La tutela serve proprio a garantire futuro e valore a questa pietra di nicchia.
Avete ottenuto un importante riconoscimento con il decreto regionale del 2025. Cosa significa?
Abbiamo lavorato due anni coinvolgendo università, ARPAV, Genio civile e uffici regionali. Il 10 marzo 2025 la Regione Veneto ha riconosciuto i nostri sfridi e fanghi come sottoprodotti e non più rifiuti. Significa poterli usare in recuperi ambientali, opere pubbliche e ripristini di cave abbandonate. È un risultato che dà valore al nostro materiale, riduce costi e inquinamento da trasporto, e offre nuove opportunità alle comunità montane.
Un risultato che può fare scuola anche per altri comparti?
Sì, crediamo che questo riconoscimento possa aprire la strada anche ad altri materiali. Non sarà sempre possibile applicarlo al 100%, ma anche un utilizzo parziale porterebbe benefici collettivi enormi. È un esempio concreto di sostenibilità e di economia circolare applicata al territorio.
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