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Pierluigi Testi: «Il saper fare veronese resta un patrimonio da coltivare»

di Matteo Scolari
Il presidente della sezione Lapide di Confindustria Verona analizza lo stato del settore alla vigilia di Marmomac 2025: mercati internazionali, export, formazione e nuove tecnologie tra sfide e opportunità.

La 59ª edizione di Marmomac conferma Verona come capitale mondiale del lapideo. Per capire meglio lo scenario economico e produttivo, abbiamo intervistato Pierluigi Testi, presidente della sezione Lapidei di Confindustria Verona, che sottolinea il ruolo centrale della fiera, la resilienza delle aziende scaligere e la necessità di formare nuove generazioni capaci di unire tradizione e innovazione.

Presidente, Marmomac è l’appuntamento più atteso dell’anno. Che valore ha oggi questa fiera?

È una manifestazione unica al mondo: non solo esposizione di prodotti lapidei, ma anche cultura, convegni, approfondimenti. Attira progettisti e architetti da tutto il mondo, che cercano idee e stimoli oltre al semplice prodotto. La sua forza è sempre stata il supporto e la caparbietà dei produttori veronesi, capaci di sostenerla anche in momenti difficili come durante il Covid.

Quali sono i numeri e le tendenze principali dell’export nel 2025?

Nel primo semestre l’export nazionale ha segnato -5,5%, per un totale di 1,46 miliardi di euro. Le pietre naturali restano sui massimi storici, mentre arretrano macchinari e attrezzature. Era inevitabile che emergenti come India, Brasile e Arabia Saudita si strutturassero con proprie industrie, ma Verona resta un palcoscenico preminente perché offre un distretto completo: macchinari, utensili, imballi speciali e, soprattutto, una gamma di materiali e colori che non si trova altrove.

E guardando al territorio scaligero, quali sono i dati più significativi?

Abbiamo circa 370 aziende, che generano 400 milioni di euro di export: il 23-24% verso gli Stati Uniti, il 30-31% verso la Germania e quote rilevanti nel resto d’Europa. Siamo ben diversificati, quindi meno esposti ai contraccolpi economici. Le nostre imprese stanno facendo sforzi notevoli per mantenere fatturati e occupazione, pur con margini ridotti.

Stati Uniti e Germania restano i mercati chiave. Qual è la situazione attuale?

Negli Stati Uniti pesano i dazi (circa l’11% sul prodotto italiano) e il cambio sfavorevole con il dollaro, che riduce il potere d’acquisto degli importatori. Stimiamo che il calo possa arrivare al -10% nella seconda parte dell’anno. In Germania la situazione resta delicata e, accanto a Francia e Inghilterra, pesa sulle esportazioni europee. Nonostante questo, i risultati delle aziende veronesi sono degni di nota.

Il valore aggiunto resta il prodotto lavorato rispetto al semilavorato. È d’accordo?

Sì, i risultati più solidi arrivano dal prodotto finito, che richiede competenze artigianali e artistiche difficilmente replicabili. È un fiore all’occhiello che va coltivato con la formazione: abbiamo rinnovato l’accordo con l’istituto San Zeno per costruire nuove maestranze, capaci di raccogliere l’eredità delle vecchie generazioni e mantenerla viva.

Come rendere attrattivo questo settore per i giovani?

La sfida è coniugare il saper fare tradizionale con le nuove tecnologie: robotica, automazione, intelligenza artificiale. Oggi vediamo già robot antropomorfi e macchine a cinque o sette assi, ma siamo solo agli inizi. Le nuove generazioni avranno il compito di traghettare il settore verso una nuova era, unendo creatività, sensibilità artigianale e innovazione tecnologica.

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