Quote rosa nelle aziende. Smaila: «Le competenze prima di tutto»
di Giorgia PretiMarisa Smaila, presidente del Gruppo Donne di Confimi Apindustria Verona, interviene nel dibattito sull’obbligo delle quote di genere nei Consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate e delle aziende a partecipazione pubblica controllate dallo Stato. Si tratta di una normativa introdotta nel 2011 con la Legge 120/2011.
«La normativa sulle quote di genere nelle aziende ha favorito un necessario cambio di mentalità e ha contribuito alla diffusione di una nuova consapevolezza. Ora è importante compiere un ulteriore passo avanti, che coinvolga tutti, affinché a prevalere sia sempre e soltanto il merito», afferma Marisa Smaila, presidente del Gruppo Donne di Confimi Apindustria Verona.
«Il quadro legislativo ha rappresentato un progresso anche sul piano culturale, ma non deve essere vissuto come un “passepartout” scontato. Serve la volontà di mettersi in gioco, andando oltre le tutele previste dalla legge, ma soprattutto è fondamentale essere consapevoli del proprio valore e delle proprie competenze, così da rendere le donne protagoniste attive nel mondo del lavoro – sottolinea Smaila -. Oggi la partecipazione femminile alla forza lavoro non ha ancora raggiunto il 50% e la presenza nelle posizioni dirigenziali e decisionali continua a essere limitata. La normativa è uno strumento utile ma da sola non è sufficiente: occorre evitare che venga percepita come un vantaggio immeritato o una giustificazione».
Secondo la presidente «è positivo che la normativa abbia introdotto una discontinuità rispetto al passato, quando, anche in contesti familiari, i passaggi generazionali seguivano criteri legati a consuetudini superate, spesso ispirate a logiche poco inclusive. Oggi è necessario andare oltre le contrapposizioni ideologiche: nella prospettiva della crescita aziendale, le competenze devono sempre essere il criterio guida, a prescindere dal genere, soprattutto in base alle specificità dei ruoli e dei settori».
Un possibile rischio, conclude Smaila, è «ridurre la figura femminile a un numero da inserire per obbligo di legge. Questo approccio sarebbe controproducente e svilente. Inoltre, le quote di genere rischiano di affrontare più i sintomi che le cause profonde delle difficoltà legate alla piena partecipazione delle donne nel mondo del lavoro. Non devono trasformarsi in un intervento simbolico, privo di efficacia concreta. È su questi aspetti strutturali che il dibattito politico e istituzionale deve concentrarsi con decisione. Solo così sarà possibile compiere un nuovo, importante passo avanti verso un’integrazione piena e autentica delle donne, anche nei ruoli di vertice».
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