Nuova call-to-action

Referendum tra diritto, lavoro e democrazia: la posta in gioco dell’8 e 9 giugno

di Matteo Scolari
Il prossimo weekend richiamerà alle urne gli italiani per un referendum sulle tematiche del lavoro e della cittadinanza. Dietro l’apparente tecnicismo di questa consultazione, si muovono temi profondi, che toccano la carne viva della nostra società.

Nel prossimo fine settimana, gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari: quattro riguardano il lavoro, uno la cittadinanza. Si tratta di referendum abrogativi, strumenti che permettono ai cittadini di cancellare una norma in vigore, votando “sì”. Se invece la maggioranza vota “no”, o se non viene raggiunto il quorum del 50%+1 degli aventi diritto, le leggi restano intatte.

Dietro l’apparente tecnicismo di questa consultazione, si muovono temi profondi, che toccano la carne viva della nostra società: tutele occupazionali, precarietà, sicurezza nei cantieri, dignità dei percorsi migratori. Ma si muovono anche i limiti e le opportunità della democrazia diretta, il ruolo dei corpi intermedi, la legittimità dell’astensione come scelta politica.

Il lavoro come campo di scontro e riflessione

I quattro quesiti sul lavoro sono stati promossi dalla CGIL, dopo la raccolta di oltre un milione di firme. Si chiede:

  • di ripristinare il reintegro per chi viene licenziato ingiustamente;
  • di rimuovere il tetto di sei mensilità nei risarcimenti per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese;
  • di limitare l’uso dei contratti a termine, reintroducendo le causali obbligatorie;
  • di rafforzare la responsabilità del committente negli appalti in caso di infortunio sul lavoro.

Sono proposte che derivano da un’analisi critica dell’evoluzione legislativa degli ultimi vent’anni, con particolare attenzione agli effetti del Jobs Act. Ma sono anche quesiti controversi, che dividono le forze politiche e sindacali, e sollevano dubbi anche in ambito giuridico.

C’è chi, come Forza Italia, denuncia il rischio di incentivare il contenzioso, colpendo le piccole e medie imprese e appesantendo i tribunali. Chi, come Italia Viva, riconosce le ragioni sociali della protesta ma contesta il metodo: “le leggi si cambiano in Parlamento, non a colpi di referenda”.

Dall’altra parte, i promotori replicano che il Parlamento, finora, non ha voluto o saputo intervenire. E che i referendum servono proprio a questo: a forzare l’agenda politica, riportando al centro la dignità del lavoro.

La cittadinanza tra diritti e paure

Il quinto quesito propone di ridurre da 10 a 5 anni il tempo di residenza per poter fare domanda di cittadinanza italiana. Un tema che va oltre la burocrazia e interroga la visione di Paese: chi siamo e chi vogliamo includere nella nostra comunità politica?

Anche qui, le opinioni divergono. C’è chi parla di civiltà, chi di “bacini elettorali mascherati”. Ma pochi possono negare che la lentezza e l’opacità dell’attuale sistema generano insicurezza e frustrazione in migliaia di persone perfettamente integrate nel tessuto sociale ed economico del Paese.

Astenersi: diritto o diserzione?

Una delle novità più rilevanti di questo referendum non sta nei quesiti, ma nel dibattito sull’astensione. Per la prima volta, una parte significativa del fronte politico invita esplicitamente a non votare, non per disinteresse, ma come scelta consapevole volta a impedire il raggiungimento del quorum.

Dal punto di vista costituzionale, l’astensione è legittima. Ma quando a proporla sono figure istituzionali, come il presidente del Senato, si apre un conflitto simbolico. Qual è oggi il ruolo del referendum nella nostra democrazia rappresentativa? È uno strumento ancora efficace o un’anomalia da aggirare?

Nel 1946 un referendum ha fondato la Repubblica. Negli anni ’70 ha contribuito a scelte epocali sul divorzio e sull’aborto. Oggi si confronta con un clima di sfiducia e rassegnazione, che rischia di svuotarlo dall’interno.

Il senso della partecipazione

Votare “sì”, votare “no”, o scegliere di non votare: tutte sono scelte legittime. Ma lo sono solo se sono frutto di riflessione informata e non di apatia. Il vero nemico della democrazia non è chi sbaglia casella sulla scheda, ma chi rinuncia a interrogarsi. Il dibattito acceso, a volte aspro, che si è sviluppato attorno a questi referendum – anche grazie a confronti pubblici come quello ospitato da Radio Adige TV – è già di per sé un risultato positivo.

Che si voti o meno, che si vinca o si perda, ciò che conta è non cedere al cinismo. Perché ogni volta che i cittadini prendono in mano una penna e decidono su una norma, è in gioco molto più di un comma o di un articolo: è in gioco la capacità di sentirsi parte del cambiamento.

👉 VUOI RICEVERE IL SETTIMANALE ECONOMICO MULTIMEDIALE DI VERONA NETWORK?
👉 ARRIVA IL SABATO, È GRATUITO!

PER RICEVERLO VIA EMAIL

Condividi ora!