Referendum, Pizzighella: «Mi asterrò consapevolmente da questo voto»
di Matteo ScolariDurante l’ultima puntata di Focus Verona Economia, dedicata ai referendum dell’8 e 9 giugno su lavoro e cittadinanza, Carlotta Pizzighella, esponente di Forza Italia, ha preso una posizione chiara e netta: astensione consapevole. Per Pizzighella, il referendum abrogativo non è lo strumento adatto per affrontare temi di grande complessità normativa e sociale.
Perché ha scelto di astenersi dal voto?
Credo fermamente nel valore del voto, soprattutto alle elezioni politiche o amministrative, dove astenersi significa rinunciare a scegliere chi decide per noi. Ma il referendum abrogativo è diverso: la Costituzione stessa prevede l’astensione come terza possibilità. In questo caso, non siamo chiamati a scegliere chi governa, ma se cancellare o meno interi articoli di legge, con un “sì” o “no” che semplifica troppo una materia tecnica. Ecco perché mi asterrò consapevolmente, per non contribuire al raggiungimento del quorum.
Quali criticità riscontra nel primo quesito, quello sul reintegro dopo licenziamento illegittimo?
Va chiarito che parliamo di aziende con più di 15 dipendenti. In caso di licenziamento nullo o discriminatorio, il reintegro già oggi è previsto. Il quesito riguarda invece i casi più grigi, conflittuali, dove reintegrare il lavoratore in un ambiente ostile non tutela né lui né l’azienda. È illusorio pensare che il ritorno in azienda sia sempre un bene. Inoltre, il referendum riporterebbe alla norma della legge Fornero, che indennizza meno rispetto alla disciplina attuale: quindi, economicamente, può persino peggiorare la posizione del lavoratore.
E sul tetto massimo di sei mensilità per le piccole imprese?
Quel tetto dà certezza a entrambe le parti. Togliendolo, si espone sia il lavoratore che il datore di lavoro a una lunga e incerta battaglia legale. Il datore rischia di non sapere quanto dovrà pagare, e il lavoratore non sa se e quando riceverà l’indennizzo. Si moltiplicheranno i contenziosi. Io lavoro come avvocato e conosco bene i tempi e i costi della giustizia del lavoro: invece di semplificare, questo quesito complica tutto.
Il quesito sui contratti a termine vuole limitarne l’abuso. Come lo giudica?
Le causali nei primi 12 mesi furono eliminate per evitare l’abuso di partite IVA e lavoro nero. Reintrodurle rischia di ingolfare i tribunali: ogni contratto potrebbe diventare oggetto di contestazione. Inoltre, il contratto a termine non è sinonimo di precarietà, ma spesso uno strumento di ingresso nel mondo del lavoro. Se un’azienda trova una risorsa valida, la stabilizza. Il problema va risolto con altre leggi, non abrogando norme che funzionano. Se reintroduciamo oggi le causali, fra sei anni saremo punto a capo.
Sul tema della sicurezza negli appalti, non è giusto rafforzare le responsabilità dei committenti?
Oggi la responsabilità del committente esiste già in caso di rischio generico. Con il referendum si vuole estendere anche al rischio specifico, ma questo significa bloccare il mondo degli appalti. La sicurezza deve essere garantita dalla formazione, dalla prevenzione e da controlli efficaci, non scaricando la colpa in automatico sul committente. Il cambiamento culturale è fondamentale: come oggi mettiamo la cintura di sicurezza senza pensarci, così dobbiamo imparare a indossare i dispositivi di protezione nei cantieri. Serve una responsabilizzazione diffusa, non una delega di colpa.
Cosa pensa del quinto quesito sulla cittadinanza?
Anche qui, lo strumento è sbagliato. La cittadinanza italiana non è solo un documento, ma un percorso valoriale. Abbiamo già strumenti che garantiscono ai regolari l’accesso a sanità, istruzione, lavoro. Accorciare i tempi non risolve i problemi: servirebbe invece snellire la burocrazia. Forza Italia in passato ha sostenuto proposte più articolate, come lo Ius scholae, che lega la cittadinanza a un percorso formativo. Qui si rischia solo di creare un bacino elettorale fittizio, senza costruire reale integrazione.
In definitiva, perché invita all’astensione?
Perché questi quesiti, così come sono stati formulati, non risolvono i problemi, ma li semplificano. E lo fanno in un modo che rischia di peggiorare il quadro normativo, bloccando imprese e lavoratori in un limbo legale. Io credo nella partecipazione, ma anche nella responsabilità. Il mio no è un astensionismo consapevole, non una fuga. Le vere riforme si fanno in Parlamento, con confronto, equilibrio e visione.
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