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Crisi del metalmeccanico. Braccioforte: «Il 28 di nuovo in piazza per far valere le nostre ragioni»

di Matteo Scolari
Il segretario generale di FIOM Verona, Martino Braccioforte, è intervenuto a Focus Verona Economia per spiegare le cause di un settore in crisi e le modalità con cui il sindacato sta facendo valere le ragioni dei lavoratori e delle lavoratrici.

Il settore metalmeccanico veronese sta attraversando una fase critica. Alle difficoltà già note di Borromini e Vetrerie Riunite, si aggiungono le situazioni complesse di altre realtà industriali come Xhailog, Breviglieri, George Fisher e molte altre. Il 28 marzo i metalmeccanici scenderanno in piazza per un nuovo sciopero nazionale, che vedrà una manifestazione anche a Verona. Ne abbiamo parlato con Martino Braccioforte, segretario provinciale della Fiom CGIL, ospite a Focus Verona Economia su Radio Adige TV.

Segretario Braccioforte, qual è il significato dello sciopero nazionale del 28 marzo?

È il terzo sciopero che indiciamo per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, perché dal novembre scorso le trattative si sono interrotte. Federmeccanica e Assistal hanno assunto un atteggiamento arrogante, rifiutando il confronto sui contenuti della nostra piattaforma e presentando una controproposta peggiorativa per le condizioni dei lavoratori. Scioperiamo per salari dignitosi, per un lavoro sicuro, per la riduzione dell’orario di lavoro e per una maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro.

Che manifestazione è prevista a Verona per il 28 marzo?

Saremo numerosi e rumorosi. Il corteo partirà alle 9:30 dal piazzale della stazione e si concluderà in Piazza Bra, un luogo simbolico per la città. Vogliamo far sentire le nostre ragioni a tutti, non solo ai datori di lavoro, ma anche alle istituzioni e alla cittadinanza.

Quali sono le richieste economiche avanzate dai sindacati per il contratto nazionale?

Chiediamo 280 euro di aumento nel triennio, fissi e non assorbibili. È una cifra che riteniamo necessaria per recuperare il potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Negli ultimi rinnovi, pur ottenendo aumenti, non abbiamo colmato completamente questo gap.

Scendendo sul piano locale, come descriverebbe la situazione industriale nella provincia di Verona?

È allarmante. Non si tratta più di casi isolati, ma di una crisi diffusa. Oltre a Vetrerie Riunite e Borromini, sono in sofferenza aziende come la Xhailog di Minerbe, la Breviglieri di Nogara e molte altre. Quello che le accomuna è la mancanza di responsabilità sociale da parte delle proprietà, spesso fondi stranieri o multinazionali, che preferiscono chiudere o licenziare piuttosto che utilizzare gli ammortizzatori sociali previsti dalla legge.

Quali sono i numeri della crisi che riguarda Borromini e Vetrerie Riunite?

Parliamo di quasi 200 lavoratori coinvolti: 48 della Borromini, 49 della Vetrerie Riunite più una settantina di interinali che rischiano di essere lasciati a casa entro maggio. Tutto nasce dalla decisione dei fondi portoghesi Tangor e Teak Capital, che hanno acquistato le aziende solo a fine 2023, e che ora vogliono cessare o ridimensionare le attività senza dialogo.

Avete avuto un confronto diretto con i rappresentanti aziendali?

Non con l’amministratore delegato Manuel Loreiro, che si è limitato a un passaggio in sede regionale con un altro sindacato. Noi abbiamo interloquito con il commercialista Lovisatti, nominato ad interim per gestire la chiusura. Ma è evidente che dietro non c’è volontà di trovare soluzioni: si procede alla dismissione, senza rispetto né per i lavoratori né per le istituzioni.

Come giudica il ruolo della Regione Veneto in questa vicenda?

Il contatto con la Regione è quotidiano, anche se tramite i tecnici. L’impegno lo vediamo, ma i risultati tardano ad arrivare. Le proprietà non solo ignorano i sindacati, ma anche le istituzioni. E questo è grave, considerando che in passato hanno beneficiato di fondi pubblici senza vincoli. Serve una norma nazionale che blocchi le delocalizzazioni e preveda penali per chi riceve soldi pubblici e poi scappa.

E la Provincia? Avete avuto un riscontro dopo l’appello a istituire un tavolo di crisi provinciale?

Sì, abbiamo incontrato il presidente Flavio Pasini, che è anche sindaco di Nogara, e si è impegnato a convocare un tavolo con tutti: sindacati, Comuni e Confindustria Verona. Tuttavia, mi permetto di dire che Confindustria è il grande assente. È presente fisicamente ai tavoli, ma non porta proposte né soluzioni, e spesso parliamo più con gli avvocati delle aziende che con loro. Serve un cambio di passo.

Qualche vertenza ha avuto un esito positivo?

Un esempio è George Fisher, dove grazie al nostro lavoro e al sostegno della Regione, abbiamo siglato un accordo con cassa integrazione straordinaria, politiche attive per la ricollocazione e un incentivo all’esodo congruo. È un caso raro, perché anche lì la multinazionale chiudeva non per crisi, ma per scelta strategica.

Un’ultima parola sullo sciopero del 28 marzo. Cosa vi aspettate?

Ci aspettiamo una grande partecipazione. I metalmeccanici hanno la testa dura, non ci arrendiamo. Pretendiamo un contratto equo, salari adeguati e rispetto per la dignità dei lavoratori. Finché non otteniamo il rinnovo, non ci fermeremo.

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