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L’economia che non fa rumore ma tiene insieme la società

di Matteo Scolari
Non entra nel PIL ma regge i territori: l’economia del volontariato e del sociale trasforma fragilità in valore, prevenzione in sviluppo e comunità in futuro, come dimostrano le esperienze veronesi raccontate in queste settimane.

C’è un’economia che raramente entra nelle statistiche del PIL, che non fa rumore sui mercati e non cerca dividendi, ma senza la quale i territori semplicemente si sfalderebbero. È l’economia del sociale e del volontariato, un sistema fatto di relazioni, tempo donato, competenze condivise e fiducia. Un’economia che non sostituisce lo Stato né il mercato, ma che ogni giorno colma vuoti, anticipa bisogni, costruisce futuro dove altrimenti resterebbero solo fragilità.

I casi raccontati nelle puntate di Focus Verona Economia lo dimostrano con chiarezza. Realtà diverse per storia, dimensione e missione, ma unite da un tratto comune: trasformare il bisogno in valore, la fragilità in legame, la perdita in responsabilità collettiva.

L’associazione Nico tra le stelle nasce da una tragedia che avrebbe potuto chiudersi nel silenzio del lutto privato. Invece un gruppo di giovani ha scelto di reagire, trasformando il dolore per la perdita di Nicolò Corsi in un progetto di prevenzione, educazione e comunità. Parlano ai loro coetanei di sicurezza sul lavoro, entrano nelle scuole, organizzano momenti di sport e aggregazione. Non producono profitto, ma producono consapevolezza. E la consapevolezza, quando evita un infortunio o una morte, ha un valore economico e sociale incalcolabile.

Luca Puttini e Ludovica Venturi

La Piccola Fraternità Lessinia racconta invece la forza della continuità. Quasi quarant’anni di presenza costante in un territorio montano, ampio e poco servito, dove la disabilità e il disagio sociale rischiano più che altrove di diventare isolamento. Qui l’economia del volontariato assume una forma concreta: trasporti quotidiani, assistenza, laboratori, comunità alloggio, reti con scuole, comuni, parrocchie. Oltre 140 volontari che, ogni settimana, permettono allo Stato di non arretrare e alle famiglie di non sentirsi sole. È un’economia che non si limita a “fare assistenza”, ma cambia la cultura: trasforma la disabilità da realtà da nascondere a presenza riconosciuta, accolta, parte della comunità.

Stefano Melotti e Giuseppe Zanini.

La cooperativa sociale Noi Insieme, in Valpantena, aggiunge un altro tassello fondamentale: quello della dignità. Qui il lavoro manuale, la ceramica, le commissioni per aziende non sono un fine produttivo, ma uno strumento educativo. Ogni oggetto realizzato è il risultato di un percorso umano prima ancora che tecnico. Anche qui il bilancio economico conta, perché le strutture devono reggere, ma il vero “utile” è la crescita delle persone, la loro capacità di esprimersi, di sentirsi competenti, riconosciute. È un’economia che rimette al centro la persona, non la prestazione.

Luciano Turazzini

Accanto a queste esperienze, il ruolo delle fondazioni filantropiche, come Fondazione Cariverona o Fondazione Cattolica, appare sempre più decisivo. Non solo come erogatori di risorse, ma come soggetti capaci di orientare, accompagnare, chiedere impatto e visione. I 100 milioni messi in campo da Fondazione Cariverona nel piano “Rigenerazioni” non sono semplicemente fondi: sono una scelta politica nel senso più alto del termine, perché riconoscono che giovani, comunità e ambiente non sono costi, ma investimenti. Lo stesso vale per i bandi che puntano sulle competenze, sulle reti, sulle nuove leadership del terzo settore.

Bruno Giordano e Filippo Manfredi.

Questa economia “altra” ha alcune caratteristiche precise. È intensiva di lavoro umano, non sostituibile da algoritmi. È radicata nei territori e quindi difficilmente delocalizzabile. Produce benefici diffusi e di lungo periodo, spesso prevenendo costi futuri enormi per il sistema sanitario, assistenziale e giudiziario. Ma ha anche fragilità strutturali: dipende dal volontariato, soffre l’incertezza delle risorse, fatica ad attrarre giovani se non viene riconosciuta come spazio di senso e non solo di sacrificio.

Per questo oggi serve un cambio di sguardo. Non basta “ringraziare” il volontariato o celebrarlo nelle ricorrenze. Serve riconoscerlo come infrastruttura sociale essenziale. Servono politiche che facilitino le reti, che semplifichino gli adempimenti, che investano sulla formazione e sul ricambio generazionale. Serve anche che il mondo economico tradizionale smetta di considerare il sociale come un ambito separato o residuale, e inizi a vederlo come partner strategico per la tenuta dei territori.

Questa economia silenziosa è ciò che tiene insieme i pezzi. Non fa rumore, ma regge. Non cerca visibilità, ma genera futuro. E forse, se vogliamo davvero parlare di sviluppo, dovremmo partire proprio da qui.

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