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Pensioni, a Verona crollo delle uscite con le nuove quote: SPI CGIL chiede una riforma vera

di Matteo Scolari
Dal 2021 al 2023 dimezzate le possibilità di anticipo. Filice: «Basta propaganda, serve una riforma organica e stabile».

«Si ricomincia a parlare di pensioni con scorciatoie che non risolvono i problemi ma li scaricano interamente sui lavoratori». È il giudizio severo di Adriano Filice, segretario generale di Spi Cgil Verona, che boccia la proposta del Governo di utilizzare il Tfr per consentire il pensionamento a 64 anni: «Il Tfr è salario differito, frutto del lavoro, e non può essere trasformato in un bancomat per coprire proclami politici falliti».

I dati veronesi raccontano con chiarezza l’inefficacia delle misure introdotte negli ultimi anni. Con Quota 100, in vigore fino al 2021, erano 1.674 le uscite dal lavoro registrate a Verona. Ma già con Quota 102, che alzava a 64 anni il requisito anagrafico, i pensionamenti sono crollati a soli 77 (-95%). Con Quota 103, dal 2023, le uscite sono risalite a 540, restando comunque ben lontane dai livelli del 2021.

Situazione analoga per Opzione Donna: nel 2022 erano state 589 le veronesi a beneficiarne, scese a 358 nel 2023 dopo l’inasprimento dei requisiti e la drastica riduzione della platea. Meglio l’Ape Sociale, che a Verona è passata da 241 domande accolte nel 2021 a 330 nel 2023, pur restando vincolata a limiti severi: importo massimo di 1.500 euro lordi al mese senza tredicesima e requisiti contributivi molto rigidi.

«Questa carrellata ci dice una cosa chiara – sottolinea Filice –: non c’è mai stata una riforma organica. Si è navigato a vista, passando da un provvedimento spot all’altro, con un peggioramento progressivo e un clima di incertezza che ha sempre penalizzato lavoratori e lavoratrici».

Adriano Filice, segretario generale di SPI CGIL Verona.

Per il sindacato, la strada non può essere l’ennesimo provvedimento tampone. «Serve una riforma strutturale che riconosca il valore del lavoro di cura delle donne, la fatica dei mestieri usuranti e le difficoltà di chi ha avuto carriere discontinue. I numeri di Verona non sono solo statistiche: raccontano storie di persone che si sono viste alzare continuamente l’asticella e private di un diritto maturato con anni di contributi».

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