La burocrazia, alle PMI, costa 80 miliardi l’anno
di Matteo ScolariOgni anno, le piccole e medie imprese italiane subiscono un danno economico stimato in 80 miliardi di euro a causa della burocrazia. È quanto emerge dal rapporto dell’Ufficio Studi CGIA di Mestre, che fotografa con lucidità l’impatto di un sistema normativo e procedurale farraginoso, costoso e ancora troppo poco digitalizzato. A pagarne il prezzo sono soprattutto le microimprese, costrette ogni giorno a navigare tra moduli, permessi, file agli sportelli e obblighi documentali che sottraggono tempo e risorse alla produttività.
Il quadro delineato è quello di un nemico invisibile, ma costantemente presente. Secondo la CGIA, la complessità normativa e la scarsa chiarezza delle disposizioni rappresentano un «dramma insopportabile», che incide fortemente sulla capacità delle aziende di concentrarsi sul proprio core business. Le stime riportate si basano su fonti internazionali come gli Studi economici dell’OCSE, che già nel 2021 avevano segnalato la gravità della situazione italiana.
La lentezza delle procedure autorizzative, evidenziata anche dai confronti con altri Paesi europei, è uno dei punti più critici: l’Italia registra uno dei tempi medi più elevati in Europa per il rilascio di permessi e licenze, una performance dovuta anche al basso livello di digitalizzazione della pubblica amministrazione.
«La nostra macchina pubblica fatica a stare al passo con i cambiamenti epocali in atto», rileva lo studio. In Italia, il 90% delle imprese impiega personale per gestire gli adempimenti normativi. Un dato peggiore rispetto a quello francese (87%), tedesco (84%) e spagnolo (82%), e superiore alla media UE dell’86%. Ancora più preoccupante è che il 24% delle imprese italiane utilizza oltre il 10% del proprio personale esclusivamente per questi compiti, contro l’11% in Germania e il 17% della media europea.
Le disfunzioni si accentuano nel Mezzogiorno, dove la pubblica amministrazione presenta livelli di efficienza ancora più critici. Secondo l’European Quality of Government Index 2024, elaborato dall’Università di Göteborg, l’Italia si colloca nella parte bassa della classifica europea. Tra le regioni italiane, solo il Friuli Venezia Giulia si salva posizionandosi al 63° posto. In coda troviamo invece il Molise (207°) e la Sicilia (208° su 210 territori analizzati). Il rapporto misura la qualità percepita dei servizi pubblici, l’imparzialità e il livello di corruzione attraverso un’indagine condotta su 135.000 cittadini europei, di cui oltre 13.000 in Italia.
Le risposte evidenziano una percezione diffusa di inefficienza, in particolare nei servizi a rilevanza territoriale come istruzione, sanità e pubblica sicurezza. Questi ambiti mostrano segnali di favoritismo, scarsa imparzialità e in alcuni casi episodi di corruzione diffusa, soprattutto nei territori più svantaggiati.
Un piccolo spiraglio arriva sul fronte normativo: il governo ha approvato un disegno di legge per l’abrogazione di oltre 30.700 norme datate tra il 1861 e il 1946, con l’obiettivo di alleggerire del 28% lo stock normativo complessivo. Una misura che la CGIA definisce positiva, ma la cui efficacia dipenderà dai tempi di approvazione definitiva e, soprattutto, dalla capacità di semplificare la normativa vigente in modo concreto e fruibile.
Lo studio della CGIA rappresenta un richiamo forte alla politica affinché si intervenga con urgenza per semplificare il sistema burocratico italiano. Il messaggio è chiaro: la burocrazia non è solo un problema amministrativo, ma un vero e proprio ostacolo strutturale alla crescita economica del Paese. Un ostacolo che grava in modo sproporzionato sulle piccole imprese, vero motore dell’economia italiana, e che rischia di comprometterne la competitività in un contesto internazionale sempre più dinamico.
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