Luigi Turco: «Cantine di Verona è la prova che l’unione fa davvero la forza»
di Matteo ScolariNata nel 2021 dalla fusione di tre storiche realtà cooperative, Cantine di Verona è oggi una delle più importanti aziende vinicole del territorio, con tre opifici industriali, oltre 500 soci conferitori e circa 60 milioni di euro di fatturato. Guidata dal presidente Luigi Turco, la cooperativa ha saputo trasformarsi in un modello di efficienza, innovazione e sostenibilità, con una crescita costante anche nel comparto oleario, attivo da oltre venticinque anni.
Presidente, qual è oggi la situazione del mercato del vino a livello nazionale e internazionale?
Siamo in un momento di difficoltà dopo oltre vent’anni di crescita. Il calo dei consumi e il cambio dei gusti, soprattutto tra i giovani, stanno ridisegnando le abitudini di acquisto. Negli ultimi decenni si sono piantati molti nuovi vigneti, e l’aumento dell’offerta ha accentuato lo squilibrio. Tuttavia, non parliamo di una crisi strutturale: i bilanci delle cantine restano positivi, ma serve maggiore attenzione alla gestione e alla razionalizzazione dei costi, per restare competitivi e continuare a investire.
Cantine di Verona nasce nel 2021 da una fusione considerata da molti una scommessa. A distanza di quattro anni, possiamo dire che è stata vinta?
Sì, assolutamente. All’inizio c’erano dubbi, perché unire realtà diverse comporta complessità operative, ma oggi possiamo dire che la scelta è stata strategicamente vincente. L’unione ci ha permesso di ampliare la gamma dei prodotti, coprendo tutte le denominazioni della provincia di Verona, dai rossi ai bianchi, e di rafforzare la struttura patrimoniale, le risorse e la capacità tecnologica. È il modello che oggi stanno seguendo anche altre realtà del settore.
Quali sono oggi i numeri principali della cooperativa?
Chiudiamo il bilancio con circa 60 milioni di euro di fatturato, più o meno in linea con l’anno precedente. Abbiamo tre stabilimenti produttivi: due in provincia di Verona, a Quinto (ex Cantina Valpantena) e a Custoza, e uno a Ponti sul Mincio, in Lombardia. Oltre ai 110 dipendenti fissi, si aggiungono lavoratori stagionali nei periodi di punta. Produciamo circa 15 milioni di bottiglie ogni anno, in numerose referenze. Da oltre venticinque anni siamo anche un oleificio, anche se il 2025 purtroppo è stato un anno difficile per la raccolta.
Avete introdotto nuovi prodotti a bassa gradazione alcolica. Da dove nasce questa scelta?
Dal desiderio di intercettare i nuovi gusti dei consumatori, che chiedono vini più leggeri e facili da bere. Abbiamo lanciato due vini frizzanti, uno bianco e uno rosso, con packaging completamente rinnovato e un’attenzione particolare alla sostenibilità. Il riscontro è stato ottimo, tanto che quest’anno amplieremo la gamma. Il nostro progetto di design ha anche ricevuto un riconoscimento internazionale al Pentawards di Amsterdam, tra i concorsi più prestigiosi al mondo, grazie all’etichetta del vino Gotto, realizzata con materiali riciclati e riciclabili.
Nel campo della sostenibilità siete considerati un modello. Quali sono le principali iniziative?
Abbiamo iniziato questo percorso decenni fa, con pratiche agricole rispettose dell’ambiente come la confusione sessuale, che riduce l’uso di prodotti chimici. Oggi due terzi dei nostri soci hanno la certificazione SQNPI, che promuove un approccio etico e territoriale. Tutti i nostri stabilimenti sono coperti da impianti fotovoltaici che garantiscono oltre un terzo del fabbisogno energetico. Lavoriamo anche per ridurre il peso del vetro e ottimizzare l’uso dell’acqua. Abbiamo ottenuto la certificazione Qualitas, che riconosce il nostro impegno ambientale, etico e sociale.
Essere sostenibili significa anche avere un ruolo sociale nel territorio?
Sì, perché la sostenibilità non è solo ambientale, ma anche economica e sociale. Siamo un’azienda cooperativa con 500 soci e 500 famiglie che vivono del nostro lavoro. Offriamo formazione, assistenza tecnica e occasioni di crescita. Inoltre, sosteniamo iniziative culturali e sociali locali, perché siamo parte integrante del territorio e sentiamo il dovere di restituire ciò che riceviamo. La nostra ricchezza nasce dalla terra e dalle persone che la abitano: essere un’azienda del territorio significa anche esserne custodi.
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