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Artigiani in crisi, Verona ne perde 1.408 in un anno. Il Veneto 44mila in dieci anni

di Matteo Scolari
Decennio nero per l’artigianato. La CGIA avverte sul rischio carenza di professionalità tecniche nei prossimi anni, tra cui idraulici, fabbri, elettricisti o serramentisti.

L’Ufficio studi CGIA Mestre fotografa una un’emorragia ormai strutturale e nota da tempo: tra il 2014 e il 2024 gli artigiani in Italia passano da 1,77 a 1,38 milioni (-22,4%), con un’ulteriore caduta di 71.957 unità nel solo ultimo anno (-5,0%). Il Veneto rispecchia il trend con un arretramento decennale del -23,8% (-44.440 artigiani) e un calo annuo del -5,1% (-7.574 tra 2023 e 2024). A Verona lo stock scende di 1.408 unità in dodici mesi (-5,1%), mentre nel resto della regione si osservano contrazioni particolarmente marcate a Treviso (-6,1%, -1.720) e flessioni diffuse a Venezia (-5,0%, -1.143), Padova (-4,5%, -1.345), Vicenza (-4,3%, -1.230), Belluno (-5,8%, -343) e Rovigo (-5,7%, -385).

Il quadro nazionale, aggiornato al 16 agosto 2025, è eloquente: «negli ultimi 10 anni il numero degli artigiani presenti nel nostro Paese ha subito un crollo verticale di quasi 400mila unità», con “perdite” che hanno toccato tutte le regioni; le più colpite sono Marche (-28,1%), Umbria (-26,9%), Abruzzo (-26,8%) e Piemonte (-26%), mentre il Mezzogiorno ha contenuto meglio l’emorragia anche grazie agli investimenti legati a PNRR e agli effetti del Superbonus 110% sul comparto casa. I dati elaborati dalla CGIA provengono da INPS per le “teste” (titolari, soci, collaboratori familiari) e da Infocamere/Movimprese per le imprese artigiane attive.

Per il territorio veronese e veneto le ricadute sono concrete. La CGIA avverte che, con l’invecchiamento degli addetti e il minor ingresso di giovani nei mestieri manuali, «già oggi trovare un professionista per una piccola riparazione è molto difficile, figuriamoci fra qualche anno»; nel giro di un decennio reperire idraulici, fabbri, elettricisti o serramentisti per interventi a domicilio rischia di diventare «un’operazione difficilissima». Un segnale che tocca da vicino l’economia delle nostre città e dei distretti veneti, dove la manutenzione di case, negozi e strutture ricettive è un tassello decisivo della filiera locale.

Le cause della crisi sono molteplici: ricambio generazionale insufficiente, burocrazia e pressione dei costi (affitti e imposizione fiscale), competizione della grande distribuzione prima e dell’e‑commerce poi, oltre a un profondo cambiamento dei consumi verso la logica dell’“usa e getta” che ha marginalizzato il su misura e il prodotto fatto a mano. In parte, il calo è stato anche “contabile”: processi di fusioni e acquisizioni post‑crisi hanno ridotto le posizioni individuali ma aumentato la dimensione media e, in diversi comparti (trasporto merci, metalmeccanico, impiantistica, moda), ne hanno spinto la produttività.

Non tutto, però, arretra. Nella mappa veneta e nazionale resistono e crescono i servizi alla persona (parrucchieri, estetisti, tatuatori), le attività digitali (sistemisti, web marketing, video maker, social media) e l’alimentare di prossimità, con performance positive per gelaterie, gastronomie e pizzerie da asporto, specialmente nelle città a vocazione turistica. Segnali che, per un territorio come quello veronese, possono mitigare parzialmente la discesa se accompagnati da investimenti in competenze e qualità.

Sul fronte delle politiche, la CGIA rilancia l’idea di un “reddito di gestione” delle botteghe artigiane nei centri minori (fino a 10mila abitanti) per contrastare lo spopolamento e preservare il tessuto commerciale‑artigiano, e segnala l’iter parlamentare di riforma della legge quadro 443/1985: tra le novità allo studio, vendita diretta al pubblico per le imprese del settore alimentare, consorzi più flessibili anche con PMI non artigiane, un fondo biennale da 100 milioni per l’accesso al credito (con il supporto dei Confidi e della nuova Artigiancassa) e l’innalzamento del tetto occupazionale da 18 a 49 addetti, per allineare l’Italia agli standard Ue. L’intervento normativo dovrebbe anche riaffermare la centralità dell’imprenditore artigiano, rivedere i vincoli societari, definire meglio il perimetro di attività e valorizzare il ruolo formativo dell’artigiano‑imprenditore.

Resta, infine, una priorità culturale e educativa. Dopo decenni di svalutazione del lavoro manuale, la CGIA chiede di rimettere al centro l’istruzione professionale, potenziando orientamento e alternanza scuola‑lavoro per riportare i giovani verso mestieri che continuano a offrire sbocchi e redditività, anche nel Veronese. Senza un cambio di passo, l’Italia rischia di avere «più avvocati che idraulici», con tutti i costi economici e sociali che ciò comporterebbe per famiglie e imprese.

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