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PMI italiane leader in Europa, ma il Veneto paga il peso “leggero” delle grandi imprese

di Matteo Scolari
I dati dell’Ufficio Studi CGIA confermano la forza del tessuto produttivo italiano e del Nord Est, ma evidenziano anche un limite strutturale: la quasi scomparsa dei grandi gruppi industriali. Verona tra le province dove il ruolo delle PMI, pur molto rilevante, incide meno sull’occupazione.

L’Ufficio Studi CGIA di Mestre fotografa un quadro chiaro: le piccole e medie imprese italiane sono le migliori d’Europa, sia per produttività sia per contributo all’economia reale. Un risultato che conferma la solidità del modello manifatturiero nazionale e del Nord Est, Veneto in testa. Ma allo stesso tempo evidenzia una fragilità strutturale che pesa soprattutto sulla competitività complessiva: l’Italia non ha più grandi imprese, o comunque ne ha un numero e un peso molto inferiori rispetto agli altri Paesi industrializzati.

Secondo i dati contenuti nel report pubblicato il 22 novembre 2025 , le PMI italiane rappresentano il 99,9% del totale delle aziende e danno lavoro a 14,2 milioni di addetti, pari al 76,4% dell’occupazione nazionale. Numeri imponenti che, se confrontati con la Germania, evidenziano un divario significativo: oltre il 74,6% degli occupati italiani lavora in imprese sotto i 250 addetti, contro il 55,2% del sistema produttivo tedesco. Anche sul fronte del valore aggiunto le nostre PMI prevalgono, contribuendo per il 61,7%, molto più del concorrente tedesco fermo al 46%.

Particolarmente significativo il dato sulla produttività: le PMI “in senso stretto” (10-249 addetti) italiane risultano più produttive di quelle tedesche, con un valore aggiunto per addetto superiore di 4.229 euro, pari a un vantaggio del +6,6%. Un primato che sottolinea la qualità del lavoro manifatturiero italiano, capace di mantenere performance di eccellenza nonostante dimensioni spesso ridotte e risorse limitate.

Il quadro cambia tuttavia quando si passa alle microimprese (0-9 addetti), dove emerge un ritardo di circa 33 punti percentuali rispetto alla Germania. Ed è proprio questa forte presenza di realtà molto piccole, unite alla rarefazione dei grandi gruppi industriali, a condizionare lo sviluppo complessivo del Paese. Nel documento si ricorda come fino agli anni ’80 l’Italia potesse contare su player del calibro di Montedison, Olivetti, Italsider, Pirelli, Fiat o Montefibre, capaci di competere nei settori chiave dell’industria mondiale. Oggi quel panorama si è drasticamente ridimensionato, complice una combinazione di privatizzazioni, globalizzazione e mutamenti geopolitici che hanno portato alla scomparsa o alla profonda ristrutturazione di molte realtà storiche.

Nonostante questo, sottolinea la CGIA, l’Italia resta nel G20 grazie allo straordinario lavoro delle sue PMI, capaci di coniugare qualità, artigianalità, design e una forte identità di prodotto. Un modello che regge e che continua a trainare export e occupazione.

Per quanto riguarda il Veneto, i dati mostrano una regione fortemente basata sulle piccole e medie imprese: l’78% degli occupati lavora in aziende sotto i 250 addetti, un valore molto alto ma non ai livelli del Mezzogiorno, dove in alcune province la quota sfiora o raggiunge il 100%. All’interno della regione, però, emergono differenze significative: Treviso, Vicenza e Padova superano tutte il 79% di addetti in PMI, mentre Venezia scende al 73,3%. Verona si colloca al 72,3%, posizionandosi nella parte bassa della classifica veneta. Questo dato, che deriva dalla presenza nel territorio scaligero di alcune realtà di dimensione medio-grande, non riduce l’importanza del contributo delle PMI, ma segnala un equilibrio produttivo più articolato rispetto ad altre province del Nord Est.

Il rapporto CGIA evidenzia anche come le PMI rappresentino un vero e proprio “cuscinetto occupazionale” soprattutto nel Sud Italia, dove la mancanza di grandi gruppi industriali rende il loro ruolo ancora più determinante. Province come Vibo Valentia e Isernia arrivano a coprire rispettivamente il 100% e il 98,5% dell’occupazione privata non agricola grazie alle micro e piccole imprese.

L’analisi dell’Ufficio Studi mette in luce un’Italia che primeggia dove è più forte – nelle PMI, nella manifattura, nella produttività delle imprese fino ai 249 addetti – ma che paga il prezzo della mancanza di grandi gruppi industriali in grado di sostenere la crescita, fare da traino tecnologico e attrarre investimenti globali. Una dinamica che riguarda anche il Veneto e che chiama in causa una riflessione strategica sulla dimensione d’impresa, sull’innovazione e sulla capacità del Paese di tornare a giocare un ruolo da protagonista anche nelle filiere industriali di larga scala.

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