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Rivalutazione, all’unisono, di tre importanti vocaboli: economia, impresa e lavoro.

di admin
Voci, che ci faranno risorgere, dalla disgrazia-disastro del Corona virus.

Forse, ci sbagliamo, ma, speriamo di essere nel giusto, perché l’Italia – abbondante d’imposizione fiscale e di burocrazia, e, nonostante positive entrate, sempre a corto di denaro, tanto da essere condannata a gestire il secondo debito pubblico maggiore, nell’Unione Europea – ha grande bisogno di buona “economia”, di molta, rispettata “impresa” e di “lavoro”. A dire il vero, di questi tre importantissimi principi abbiamo goduto, per un breve periodo, e, più precisamente, negli anni 1951-1963, quando l’Italia, ripresasi dalla dolorosa batosta della seconda guerra mondiale, vide svilupparsi fortemente la propria economia, sino a poter parlare di ‘boom economico’ e a vedere onorata, nel 1959, la sua moneta, la Lira, con l’Oscar della moneta più forte d’Occidente – consideriamo: la Lira, quale moneta di riserva! Oscar, attribuitole dal noto ed autorevole foglio inglese Financial Times. Fu il tempo, in cui venero emesse le note e artistiche monete – pensate! – d’argento, da 500 Lire, del peso di 9,18 grammi di fino, ciascuna – nella foto, da: Cronaca Numismatica.… Successivi interventi politici negativi, sull’economia – per esempio, la nazionalizzazione dell’Industria elettrica del 1961 – e ondate di scioperi di colore e politici, e un nuovo modo, negativo e paralizzante, di considerare l’impresa, posero fine alla rinascita postbellica, dando il via a quella lunga sequenza di momenti oscuri, volutamente destabilizzanti, che, addirittura, turbavano la nostra mente – c’era, persino timore di uscire e, talvolta, chi voleva adire al lavoro, si trovava la porta fermamente sbarrata – e dei quali, ancora oggi, con tanto di debito pubblico sulle spalle, serbiamo il ricordo, pur considerando lo sciopero, quello ponderato e giusto, diritto del lavoratore. Da quei tempi, dimenticato, per volontà ideologica, il sopra ricordato boom, l’Italia fu posta, per anni ed anni, sulla strada del declino, la quale, senza sapere, da parte dei più, cosa ciò significasse – lotta al capitale e all’impresa – aperse le porte ad una sempre più pesante spesa pubblica e alla conseguente creazione del debito pubblico, che, se nel 1970, era al 35%, oggi, è al 134% del Pil, con il pericolo, che, fra breve, si raggiunga il 150 o, peggio, il 170% del Pil. L’attenzione, quindi, alla sana economia, andò a farsi benedire. Attenzione, ad impresa e ad economia, che, rimase accesa, come lumicino, grazie al fatto che l’Italia era ingrigliata nell’allora CEE, oggi Unione Europea, la quale, stentava a farci capire, come non si potessero aumentare i salari, se non vi fosse produttività, e che, senza impresa, non vi è benessere, e che il benessere, non si ottenesse, con la ripetuta svalutazione della moneta, la Lira. Nel 1982, i Bot rendevano il 18%…, ossia, per chiarezza, il Tesoro si era impegnato a pagare, per anni, 18.000 lire, su ogni 100.000, ricevute in prestito dal risparmiatore. E, meno male, ripetiamo, che, in qualche modo, eravamo tenuti d’occhio dall’allora Comunità Europea…! Perché, questi risaputi dati? Per dire che se l’Italia è un Paese ricco di genio, di capacità e di qualità, esso è uno dei, purtroppo, cosiddetti “periferici”, che, pur non potendo, comunque, mancare all’Unione Europea, poco o nulla è considerato dai Paesi nordeuropei, proprio per i suoi conti non in ordine. Non per colpa dell’economia e dell’impresa, dunque, da decenni mai tenute nella dovuta considerazione, ma, per avventure politiche depauperanti, nonostante le ripetute raccomandazioni d’ammodernamento – riforme – pervenute e che pervengono, dai più importanti Organismi, europei ed internazionali, per la rinascita del Paese. Chi, oggi, è al governo, si trova, in grave difficoltà, per una pesantissima situazione finanziaria ereditata, e bene fa, a preoccuparsi a fondo dell’economia e dell’impresa, come, da decenni, non è mai accaduto, portando aria nuova, in un mondo, che ha bisogno di riconoscimento, di aperture, d’immediate innovazione e liquidità. Non solo, per provvedere alle immani e pressanti esigenze del momento, ma, anche per gettare le basi di un sempre migliore avvenire del Paese. Che, in una finalmente riconsiderata visione dell’“economia”, quale apportatrice, assieme ad una riconsiderata “impresa” e ad un concetto di “lavoro”, molto positivamente rivisto, dalle due parti, in esso operanti, potrà godere, anche se in un non breve termine, di una forte rinascita economica, e, quindi, sociale. Una rivalutazione, dunque, consolante! D’altra parte, senza impresa, senza creazione di valore aggiunto, non c’è lavoro, non c’è benessere.
Pierantonio Braggio

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