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Alberto De Togni: «L’innovazione è la chiave per un’agricoltura più sostenibile e competitiva»

di Matteo Scolari
Il presidente di Confagricoltura Verona analizza la congiuntura del settore primario, l’impatto del cambiamento climatico e la necessità di un ricambio generazionale che sappia coniugare tradizione e tecnologia. Quinto appuntamento della Settimana Veronese della Finanza dedicato al settore agroalimentare.

Il comparto agricolo veronese attraversa una fase di profonda trasformazione. Le aziende devono affrontare margini ridotti, eventi climatici estremi e una crescente richiesta di sostenibilità ambientale, senza rinunciare alla redditività. A guidare Confagricoltura Verona è Alberto De Togni, imprenditore agricolo con una lunga esperienza nel settore ortofrutticolo e nella rappresentanza sindacale. Nel suo racconto emerge la necessità di una visione più pragmatica, capace di conciliare la tutela ambientale con la produttività e di valorizzare un territorio che resta uno dei poli agricoli più importanti d’Italia.

Presidente, come si presenta oggi lo stato di salute dell’agricoltura veronese?

Il settore vive un periodo di grande complessità. Da un lato abbiamo produzioni di eccellenza e aziende sempre più strutturate, dall’altro i margini economici sono sempre più ridotti e la burocrazia continua a rappresentare un ostacolo. Le imprese devono affrontare costi crescenti per energia, fitofarmaci e manodopera, mentre i prezzi di vendita non riescono a compensare. In questo scenario la resilienza degli agricoltori è straordinaria, ma servono politiche chiare e strumenti economici che garantiscano stabilità e liquidità.

Il cambiamento climatico è ormai una costante. Come sta incidendo sulle aziende?

In modo drammatico. Gli eventi estremi sono sempre più frequenti e intensi. Penso alle trombe d’aria che hanno devastato 14 comuni veronesi e 2 vicentini a settembre, con perdite stimate in decine di milioni di euro. Parliamo di impianti distrutti, serre divelte, raccolti persi a pochi giorni dalla vendemmia o dalla raccolta. È una situazione che mina la fiducia e la tenuta delle aziende. Dobbiamo accettare che il clima è cambiato e che servono nuove strategie di adattamento: irrigazione efficiente, coperture assicurative più accessibili e ricerca scientifica sulle varietà più resistenti.

Proprio sulle assicurazioni agricole, Confagricoltura chiede da tempo una riforma strutturale.

Sì, perché il sistema attuale non funziona più. I premi assicurativi sono troppo elevati e le procedure di rimborso troppo lente. Molte aziende non riescono a permettersi una copertura completa, e quando avviene un disastro i tempi di liquidazione sono incompatibili con le esigenze di chi deve ripartire. Come organizzazione, stiamo lavorando affinché si arrivi a un modello di gestione del rischio pubblico-privato, con un fondo di garanzia che riduca il costo per gli agricoltori e renda il sistema più efficiente. La logica è semplice: meglio prevenire che curare.

Il tema della sostenibilità è centrale, ma spesso le aziende lamentano un eccesso di vincoli.

La sostenibilità è un obiettivo giusto e necessario, ma deve essere compatibile con la sostenibilità economica. Non possiamo chiedere agli agricoltori di essere più green se non sono messi in condizione di restare sul mercato. Le norme europee della nuova PAC, in particolare gli eco-schemi, introducono obiettivi condivisibili ma troppo complessi da attuare. Bisogna semplificare, valorizzare chi già pratica agricoltura integrata e premiare con incentivi reali chi investe in innovazione. Non serve ideologia, serve pragmatismo.

Innovazione che significa anche tecnologia e formazione.

Esatto. L’agricoltura 4.0 non è più un concetto futuristico, ma una realtà quotidiana. Droni, sensori, mappature satellitari e software di gestione possono migliorare rese, ridurre sprechi e impatti ambientali. Tuttavia, manca ancora una diffusione capillare delle competenze digitali. Serve un piano di formazione serio, soprattutto per i giovani, che sono i primi a cogliere le potenzialità di queste tecnologie ma hanno bisogno di sostegno per investirvi. È su questo che dobbiamo puntare per rendere il settore competitivo e attrattivo.

A proposito di giovani, il ricambio generazionale rimane un tema aperto.

Sì, e purtroppo i numeri parlano chiaro: solo il 10% degli imprenditori agricoli italiani ha meno di 40 anni. In Veneto la situazione è leggermente migliore, ma non possiamo accontentarci. Entrare in agricoltura oggi richiede capitale, competenze e visione imprenditoriale. Bisogna rendere l’ingresso dei giovani più semplice, con accesso facilitato al credito, riduzione dei costi burocratici e agevolazioni fiscali per chi avvia un’azienda. I giovani sono la chiave per un’agricoltura che sia insieme più sostenibile e più innovativa, ma devono essere messi in condizione di esprimere il proprio potenziale.

Qual è, secondo lei, la priorità per il futuro del settore?

La priorità è ridare redditività e dignità al lavoro agricolo. Tutti parlano di sostenibilità, ma nessuna transizione sarà possibile se le aziende non hanno la forza economica per sostenerla. Serve una filiera più equilibrata, con meno speculazioni intermedie e un prezzo che riconosca il valore del lavoro in campo. Verona ha tutte le carte in regola per guidare questo cambiamento: territorio, imprenditori capaci e una tradizione di qualità riconosciuta nel mondo. Ora serve il coraggio politico di trattare l’agricoltura come un settore strategico, non come un comparto residuale.

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