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CGIA Mestre: rischio povertà in forte crescita tra gli autonomi, colpiti più dei dipendenti

di Matteo Scolari
Il 22,7% dei lavoratori autonomi è a rischio povertà o esclusione sociale. In 20 anni i redditi sono crollati del 30%.

La povertà colpisce sempre di più i lavoratori autonomi. Secondo l’ultimo report dell’Ufficio Studi CGIA Mestre, basato su dati Istat 2023-2024, il 22,7% delle famiglie con a capo un lavoratore autonomo è a rischio povertà o esclusione sociale, contro il 14,8% di quelle guidate da un dipendente. Una differenza netta che evidenzia una crescente fragilità economica nel comparto degli indipendenti, sempre più esposti a crisi cicliche, instabilità di reddito e mancanza di tutele.

Il fenomeno, già presente da tempo, è diventato cronico e strutturale. Mentre i salari dei dipendenti hanno subito una perdita dell’8% in termini reali negli ultimi 20 anni, i redditi da lavoro autonomo si sono ridotti del 30%, aggravando la situazione di milioni di lavoratori privi di ammortizzatori sociali, coperture previdenziali stabili e protezione contrattuale.

Oggi in Italia si contano 5,17 milioni di lavoratori autonomi, di cui circa la metà opera in regime forfettario, spesso con attività a bassissimo margine, senza dipendenti e con fatturati inferiori a 85mila euro annui. Si tratta di partite Iva “individuali”, spesso gestite da giovani, donne e lavoratori over 50, specialmente nel Mezzogiorno, che sopravvivono tra consulenze saltuarie e lavori a chiamata.

Secondo CGIA, oltre 13,5 milioni di italiani (23,1% della popolazione) si trovano in condizioni di povertà o esclusione sociale. Tra questi, la parte più colpita è rappresentata da pensionati (33,1%) e autonomi (22,7%), seguiti dai lavoratori dipendenti (14,8%). La regione con l’incidenza più alta è la Calabria (48,8%), seguita da Campania (43,5%) e Sicilia (40,9%).

Non si tratta solo di una questione reddituale. L’indicatore “a rischio povertà o esclusione sociale” considera anche altri fattori come grave deprivazione materiale (es. impossibilità di pagare le bollette, fare una vacanza, o affrontare spese impreviste), e bassa intensità lavorativa (quando i membri della famiglia lavorano per meno del 20% del tempo teoricamente disponibile).

CGIA sfata anche il mito della falsa povertà tra autonomi, dovuta a dichiarazioni fiscali parziali: il rischio misurato, infatti, va oltre il solo reddito dichiarato, comprendendo condizioni oggettive di disagio socioeconomico.

Un altro elemento preoccupante è legato all’attuale scenario geopolitico e commerciale. L’introduzione dei dazi USA da parte dell’amministrazione Trump, sebbene sembri non impattare direttamente gli autonomi (non essendo esportatori diretti), potrebbe innescare una contrazione generale dell’economia e un aumento dell’inflazione, colpendo indirettamente chi è già in condizioni fragili.

Per arginare la crisi, CGIA propone di:

  • Rilanciare la domanda interna, anche attraverso misure di incentivo ai consumi;
  • Sfruttare le risorse del PNRR per rafforzare investimenti produttivi e infrastrutturali;
  • Proseguire con la riduzione fiscale a favore di famiglie e microimprese;
  • Garantire un sistema minimo di protezione sociale anche agli autonomi, oggi esclusi da molte delle tutele ordinarie.

Senza interventi strutturali, avverte l’associazione, la situazione non potrà che peggiorare: il rischio è quello di un’Italia spaccata, dove gli autonomi diventano il nuovo volto della vulnerabilità economica.

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