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Enrico Marchi, il nuovo Doge del Nord Est

di admin
Banche d’affari, assicurazioni, concessioni aeroportuali e ora giornali: ritratto del Cavaliere del lavoro che sta rivoluzionando Verona e tutto il Triveneto.

Lucido, attento, visionario. Gran tessitore. Lui, Enrico Marchi, è riuscito dove il governatore del Veneto Luca Zaia non è ancora arrivato: a concretizzare nei suoi campi d’azione l’autonomia del Nord Est. Prima negli aeroporti con la "sua" società Save che gestisce gli scali di Venezia, Treviso, Verona e Brescia. E ora nei media con Nem, la cordata di imprenditori veneti e friulani che ha promosso e capitanato per acquisire i quotidiani ex Gedi, dal Mattino di Padova al Piccolo di Trieste passando per Tribuna Treviso, Nuova Venezia, Corriere delle Alpi a Belluno e Messaggero Veneto a Udine che si candida, investendo anche in radio tv e nel web, a diventare la Voce del Nord Est, il megafono a Roma e in Europa di quest’area avanzata ex locomotiva d’Italia che spesso si è sentita marginalizzata (ultimo caso, pista da bob di Cortina).
Trevigiano di Sernaglia della Battaglia, classe 1956, laurea alla Bocconi, Marchi ha sempre pensato in grande fin dal suo inizio nel 1980 con la Finanziaria Internazionale, fondata a Conegliano (Treviso), Nordest pedemontano non ancora baciato dal boom del Prosecco, fuori da ogni salotto buono del capitalismo italiano.
«In un Veneto che ha perso banche, autostrade e non è riuscito a creare una grande multiutility del Nordest, siamo gli unici che hanno saputo fare sistema e che hanno mantenuto qui il cervello del loro gruppo senza andare a Roma o a New York. Save è un esempio virtuoso che io voglio mantenere saldamente in Veneto. Per questo appena possibile aumenterò la mia quota», dichiarava nel 2017 dopo essere riuscito a doppiare con successo l’ennesima boa cruciale della sua storia imprenditoriale e finanziaria, l’Opa su Save fatta decollare per liquidare l’amico e socio di una vita Andrea De Vido finito in difficoltà finanziarie proprio per il crac Popolare.
Era un momento delicato, la sua seconda creatura – appunto la società che gestisce gli aeroporti di Venezia, Treviso, Verona e Brescia, più il belga Charleroi – rischiava di finire in altre mani, gruppi internazionali e, forse, anche ai "maestri" di una vita, i Benetton, che nel settore sono ben presenti con gli aeroporti di Roma e che allora acquisirono il 22% di Save mettendo più di un piede nella società di cui Marchi è presidente dal 2000 e che aveva scalato con pazienza negli anni acquisendo piccole quote da soci pubblici e privati per poi fare un’alleanza di ferro con la Regione Veneto di Giancarlo Galan. Utilizzando la rete di rapporti che aveva intessuto nell’alta finanza, Marchi riuscì a sventare "invasioni" imbarcando il fondo francese InfraVia e Deutsche Am (gruppo Deutsche Bank).
«Gilberto Benetton ha sempre detto che il loro investimento in Save era finanziario, sono contento che abbia guadagnato apportando il suo 22% all’Opa, magari in futuro potremo fare altri affari insieme in altri campi. Ora tocca a noi: abbiamo tutti i mezzi per sviluppare gli scali del Nordest a partire da quello di Venezia», disse allora.
Finint della Save oggi ha una quota di minoranza, ma i patti di sindacato con gli stranieri sono blindati: a lui è andata la gestione della società in piena autonomia e chissà che nel prossimo futuro con una delle sue operazioni di alta ingegneria finanziaria non arrivi a tornare in maggioranza da solo liquidando i fondi che pazienti lo sono stati nel profondo rosso del Covid e che ora, dopo sette anni, pare comincino a riflettere su come realizzare un investimento a suo tempo molto consistente, circa 600 milioni.
Nel frattempo Save ha ricominciato a macinare ricavi e profitti sull’onda del boom turistico post pandemia chiudendo il 2022 con 255,6 milioni di ricavi dopo gli 86,5 del 2021, 94,6 milioni di risultato netto contro il rosso di 37 dell’anno prima e quasi 12 milioni di passeggeri contro 4,6. Un vero decollo. E la Borsa potrebbe tornare d’attualità anche per sistemare i grandi soci stranieri.
Profondamente innamorato del Veneto, casa a Venezia affacciata sul Canal Grande, sposato con Emanuela Seguso dalla quale ha avuto quattro figli, Marchi ha saputo con pazienza costruire il suo impero diversificato partendo dalla finanza sentendosi sempre poco ingessato nel ruolo: «Il finanziere già evoca qualcosa di poco chiaro, se poi vieni da Conegliano sei morto – dichiarava in una intervista di qualche mese fa –. Ma io ho sempre creduto nella forza delle cose e in questi anni ho sentito crescere l’apprezzamento per quello che è stato fatto. Save è diventata un’eccellenza nel panorama aeroportuale, abbiamo scalato posizioni: oggi Venezia è il terzo aeroporto intercontinentale italiano. Nel Duemila, quando sono diventato presidente, era uno dei tanti scali medi. Di questo vado molto orgoglioso, ma io faccio solo il direttore d’orchestra, il merito è di tutti quelli che lavorano nello scalo».
Nella sua "orchestra" finanziaria targata Finint – leader nelle cartolarizzazioni e nel mercato dei minibond, 600 addetti e oltre 190 consulenti finanziari, circa 11,5 miliardi di attivi gestiti a fine 2022, sedi a Milano, Roma, Trento, Torino, Firenze, ma quartier generale sempre nella cara e vecchia Conegliano – ha saputo imbarcare manager veneti di primo piano come Giovanni Perissinotto (ex Ad di Generali), Fabio Innocenzi (ex Intesa, Carige  e Popolare Verona) e l’ex Popolare Vicenza e Banca Ifis Luciano Colombini, Massimo Mazzega (Cassa Venezia e Alba Leasing), ma anche giovani di talento che non sono "emigrati" all’estero come tanti coetanei proprio perché hanno trovato nel suo gruppo finanziario una palestra d’eccellenza dove poter crescere e sperimentare nuove soluzioni nel campo della finanza e del digitale.
Una sfida ambiziosa che Marchi ha vinto guardando sempre avanti, con quell’idea in testa di far grande il Nord Est che lo portò negli anni ’90 a costruire un "nocciolo duro" di azionisti in Generali, da secoli la cassaforte dei benestanti di Veneto e Friuli Venezia Giulia, che arrivò a controllare un 3% scarso della compagnia con base a Trieste. In quel gruppo riunito in Effeti e Ferak c’erano Palladio Finanziaria, i vicentini dell’acciaio Amenduni, Fondazione Crt, Veneto Banca. Una cordata che si diceva appoggiasse dall’esterno proprio Perissinotto, top manager che nel 2012 entrò in rotta di collisione con Leonardo Del Vecchio e venne estromesso dalla compagnia.
Altri anni, altre sfide, come la politica, accarezzata negli anni ’80 nelle fila del partito Liberale al seguito di Renato Altissimo e Valerio Zanone. A metà degli anni ’90 fu anche assessore tecnico al Bilancio della Provincia di Treviso, quella che vide al vertici anni più tardi un giovane leghista rampante, Luca Zaia. Dopo gli scontri al calor bianco col sindaco di Venezia Luigi Brugnaro sull’aumento della tassa d’imbarco. C’è chi lo vorrebbe anche in corsa come sindaco nella Serenissima. Lui si è schermito con una battuta delle sue – "Ora manca solo la designazione a patriarca" – ma chissà che la guida di Nem non lo porti a coltivare altri sogni dopo quello di diventare presidente di Confindustria Venezia stroncato nel 2009 in aperta polemica con l’associazione nazionale allora guidata da Emma Marcegaglia. E chi arrivò al suo posto? Proprio il "Gigio" veneziano.
L’unica cosa che lo potrebbe accomunare col sindaco veneziano è il carattere spigoloso e reattivo, ma a differenza del "paron" Brugnaro, Marchi sa giocare di squadra.
L’ha dimostrato anche nel salvataggio della bellunese Ceramica Dolomite, azienda dei sanitari dalla storia gloriosa finita in vendita, dove ha saputo radunare perfino la Delfin della famiglia Del Vecchio oltre alle finanziarie di Luigi Rossi Luciani e Bruno Zago. E nel 2021, in piena bufera per la compagnia, ha anche ipotizzato di entrare in Cattolica Assicurazioni con altri compagni di "scalata".
L’ultima aggregazione, quella per Nord Est Multimedia, è forse quella più delicata e politicamente impegnativa viste anche le elezioni prossime venture in Regione e a Venezia. Ma la sua opera paziente è riuscita a tessere una tela composita che vede soci Enrico Carraro (presidente di Confindustria Veneto e del gruppo meccanico padovano), Giampietro Benedetti (Danieli), VideoMedia (tv Telechiara e Tva, proprietà Confindustria Vicenza), le famiglie Zanatta (Tecnica), Nalini (Carel), Canella (supermercati Alì), Banzato (Acciaierie Venete) e altre, Fondazioni come Cariverona e Cr Trieste, Confindustria e Ance Udine e chissà che in futuro non entrino altri soci se in giugno, come si vocifera, verrà fatto un aumento di capitale da 50 milioni per fare altri investimenti e arrivare a completare tra Verona e Trento quella "Voce del Nordest" multimediale e determinata che aveva pensato decenni fa Giorgio Lago, direttore del Gazzettino che vedeva tra i soci tanti imprenditori veneti e che nel 2006 finì nelle mani del costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, con tanti saluti al Nordest e al federalismo dell’informazione e non solo. Allora, davanti agli "schei" di Roma tutti si inchinarono e incassarono.

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