Marina Salamon: «Altana? Una storia d’amore lunga quarant’anni»
di adminMarina Salamon, presidente di Altana Società Benefit, racconta la sua realtà e l’importanza viscerale di lavorare a impatto zero al giorno d’oggi.
Lei ha creato la sua azienda di abbigliamento nel 1982, da studentessa. Quest’anno dunque taglierà il nastro dei quarant’anni, un traguardo importante…
Sì, soprattutto vedo i volti delle persone che hanno iniziato con noi all’epoca e sono felice di vederli soddisfatti e di aver fatto parte della loro vita. Nella vita ho sperimentato diverse aziende, nell’abbigliamento alcune sono state acquisite e poi vendute, ma Altana è sempre stata per me come una figlia. È una storia buona, che continua positivamente. Fatturiamo circa una cinquantina di milioni e ci siamo focalizzati nel segmento alto lusso. Non per snobismo, ma perché era necessario mantenere le produzioni italiane nel nostro territorio. È stata una scelta strategica, poiché il rischio è che le grandi catene offrano prezzi desolatamente bassi e con livelli di produzione fuori controllo. Basti pensare allo sfruttamento dei lavoratori che avviene in Paesi come India o Bangladesh. Noi rifiutiamo di fare questo.
Cos’ha significato la scelta di diventare società benefit?
È una scelta coerente con la nostra storia. Abbiamo cominciato a mettere insieme la parte aziendale e produttiva con un impegno del no profit. Da sempre ho investito in questo una parte del mio impegno. Doniamo il 10% dei nostri utili al loro delle imposte a progetti e associazioni riconosciute. Vogliamo inoltre essere coinvolti in varie forme, dal rispetto dei fornitori, stakeholders e dipendenti, fino ai progetti legati all’inclusione. È bello mettere insieme l’utilità sociale, le esportazioni e la possibilità di condividere i percorsi lavorativi con altre persone. Abbiamo introdotto da diversi anni, inoltre, la flessibilità oraria per le madri e per i padri. Quando è arrivata la pandemia noi non abbiamo interrotto il lavoro nemmeno per un giorno, tutto è continuato come prima. Sul piano della sostenibilità ambientale siamo molto rigorosi. Sono stata consigliera del WWF per molti anni, quindi è un tema che mi sta molto a cuore. Insieme alle altre aziende del nostro gruppo produciamo inoltre molta energia solare. Siamo totalmente compatibili sul piano dell’impatto zero. Quello che stiamo cercando di sviluppare al massimo è poi renderci utili nella formazione dei lavori in altri luoghi più in difficoltà.
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Come riuscite a comunicare questi valori aggiunti al grande pubblico?
Su questo siamo piuttosto abituati. Il 40% circa delle nostre vendite avviene online, dove si ha un diretto rapporto B2C, non solo attraverso i siti aziendali ma attraverso i siti multimarca. Molti negozianti nostri clienti si appoggiano a siti come Farfetch o all’italiano Giglio e fanno un magazzino condiviso. In questo modo arrivano a vendere fino ai Paesi più lontani. È una realtà molto interessante e in continua evoluzione, e va colto e non rifiutato.
Come le è nata l’idea di fondare Altana?
È una storia romantica. Ero una studentessa a Venezia e sopra al tetto della casa in cui vivevo c’era un’altana, una terrazza di legno per stendere la biancheria. Io salivo sull’altana a pensare alla vita e al mio futuro, volevo fare la giornalista ma non mi avevano presa. Non avevo tante altre possibilità e quindi ho rinunciato a fare ricerca all’Università e sono partita facendo camicie di seta e andavo a venderle nelle catene dei negozi fuori Venezia. Così è nata Altana, e ha accompagnato tutta la mia vita. È una bellissima storia d’amore.
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