Giampaolo Veghini: «Servono partecipazione, innovazione e coesione per un Veneto inclusivo»
di Matteo ScolariA poche ore dal voto regionale, Focus Verona Economia ha ospitato un confronto tra i rappresentanti delle principali sigle sindacali veronesi: Giampaolo Veghini (CISL), Francesca Tornieri (CGIL) e Giuseppe Bozzini (UIL). Il dibattito ha affrontato i temi più urgenti per il futuro del Veneto, dalla sanità al mercato del lavoro, fino alla condizione dei giovani. In questo articolo approfondiamo la posizione di Veghini, che ha illustrato i contenuti del manifesto CISL presentato mercoledì 19 novembre e le priorità che la Regione dovrà affrontare nei prossimi anni.
Segretario, partiamo dal vostro manifesto: quali sono le priorità che la CISL propone ai candidati alla guida della Regione?
Il manifesto, presentato prima ai candidati presidenti e poi nelle province, contiene dieci punti che riguardano crescita, gestione demografica, mercato del lavoro, competenze e sistema sanitario. L’obiettivo è costruire un Veneto inclusivo, competitivo e attrattivo. Le priorità toccano lo sviluppo, le competenze necessarie alle imprese, le difficoltà del sistema sanitario e il problema dell’abitare. Servono partecipazione, innovazione e coesione sociale. Per noi il manifesto è un patto con chi governerà la Regione.
Sul tema della sanità: quali sono, secondo voi, le criticità più urgenti?
Il tema principale è l’abbattimento delle liste d’attesa, ma la criticità più grave riguarda il personale. Il personale sanitario e sociosanitario ha un’età media molto alta e il ricambio generazionale è insufficiente. Dobbiamo reperire nuove figure sia nel pubblico, che deve essere rafforzato, sia nel privato, che comunque opera all’interno del sistema. A questo si aggiunge la riorganizzazione territoriale legata agli ATS, dove manca un confronto adeguato con chi ogni giorno conosce le esigenze del territorio. Penso all’assistenza domiciliare, ai caregiver e alla necessità di riconoscerne il ruolo. Ai candidati chiediamo impegni concreti che verificheremo quotidianamente.
Che ruolo dovrebbero avere gli ATS e quali criticità riscontrate nella loro applicazione?
Gli ATS sono arrivati tardi e con modalità non omogenee. La sanità dev’essere pubblica, questo lo ribadisco. Il problema non è la teoria, ma la gestione: abbiamo quattro ambiti territoriali che si stanno muovendo in modo diverso, con l’Est veronese che segue scelte differenti dagli altri. Questa disomogeneità rischia di generare servizi diversi all’interno della stessa provincia. Manca un coordinamento territoriale e su questo la Regione deve assumersi maggiori responsabilità.
Passiamo al lavoro. Lei ha parlato di una situazione demografica preoccupante: quali scenari attendono il Veneto?
I dati parlano chiaro: avremo 460.000 lavoratori in meno nei prossimi dodici anni in Veneto, e 70.000 in meno solo nel Veronese. È come perdere l’intera forza lavoro della provincia. Si sommano il calo delle nascite, l’invecchiamento della popolazione e la fuga dei giovani formati sul territorio. Le aziende cercano competenze e non le trovano, sia alte che intermedie. Servono asili nido, incentivi ai giovani, formazione qualificata, politiche attive e alloggi accessibili. Solo così il nostro territorio può diventare davvero attrattivo. Sul fronte sicurezza, ricordiamo che abbiamo 20 morti sul lavoro, il 135% in più rispetto all’anno precedente. È un dato che deve far riflettere.
Quali strumenti servono per trattenere i giovani sul territorio?
Serve una strategia complessiva che coinvolga istituzioni, imprese e parti sociali. La Regione deve investire in formazione, politiche attive, casa, mobilità e infrastrutture. Bisogna creare condizioni reali affinché i giovani decidano di rimanere: un lavoro stabile, un salario adeguato, servizi efficienti, possibilità di crescita personale e professionale. Solo così Verona e il Veneto possono tornare ad essere territori attrattivi.
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