Fusione Banco Bpm e Crédit Agricole Italia: scenari e dubbi sul futuro bancario italiano
di Matteo ScolariNegli ultimi giorni, si è fatto strada un’importante indiscrezione riguardante una possibile fusione tra Banco Bpm e Crédit Agricole Italia (Cai), che sta alimentando preoccupazioni e interrogativi tra gli analisti e il mercato finanziario. Secondo quanto riportato da Reuters, l’istituto francese avrebbe coinvolto Deutsche Bank e Rothschild come advisor per valutare un’operazione che potrebbe unire la sua divisione italiana con l’istituto guidato da Giuseppe Castagna. Le voci di questa fusione, se confermate, lasciano però molti interrogativi, tanto a livello strategico quanto politico.

Il piano, che per ora rimane un’ipotesi, prevede che Crédit Agricole, attualmente detentrice di circa il 20% di Banco Bpm e con l’autorizzazione a salire fino al 29,9%, mantenga la sua partecipazione “al di sotto” del 25% per evitare l’obbligo di Opa e ridurre il rischio politico. Banco Bpm sarebbe pronto, invece, a rilevare inizialmente il 51% di Crédit Agricole Italia, attualmente controllato al 86% dal gruppo francese, con una valutazione complessiva che si aggira intorno ai 6 miliardi di euro. Il pagamento per il 51% della quota avverrebbe in parte con azioni di Anima (circa 1 miliardo), in parte con azioni di Agos Ducato (un altro miliardo), e il resto con azioni proprie di Banco Bpm. Una mossa che, secondo molti analisti, solleverebbe dubbi importanti sul piano strategico del gruppo bancario italiano. La vendita di partecipazioni in Anima, ad esempio, potrebbe rappresentare una contraddizione rispetto alla linea di internalizzazione adottata negli ultimi anni da Banco Bpm.
Oltre agli aspetti economici e finanziari, l’operazione potrebbe rivelarsi anche una mossa tattica, una strategia per valorizzare Banco Bpm e preparare il terreno per future operazioni di consolidamento. C’è infatti chi vede in questa fusione l’intento di aumentare il valore di Banco Bpm in vista di un futuro consolidamento bancario in Italia, con uno sguardo particolare sulla possibile scalata di Mps, in un contesto di forti movimenti nel sistema bancario italiano.

Tuttavia, l’operazione si scontra con diversi ostacoli, tra cui quelli politici e regolamentari. La possibilità che un gruppo francese acquisisca una quota significativa della terza banca italiana solleva infatti questioni di natura strategica e di sicurezza nazionale, con il governo italiano che potrebbe decidere di utilizzare il golden power per bloccare l’operazione o imporre condizioni specifiche. L’operazione coinvolge anche il rischio di creare squilibri, poiché la presenza di un attore straniero in un settore tanto strategico per l’economia italiana potrebbe suscitare reazioni di natura politica, da parte sia delle istituzioni sia dell’opinione pubblica.
Sul piano industriale, i sostenitori dell’operazione evidenziano le possibili sinergie che deriverebbero dalla combinazione delle due realtà, come ad esempio nella bancassurance, nel credito al consumo e nella gestione del risparmio, settori in cui le due banche sono complementari. Inoltre, l’unione creerebbe un operatore più grande e diversificato, capace di affrontare meglio le sfide di un mercato bancario europeo sempre più concentrato.
D’altro canto, restano incertezze riguardo la governance dell’operazione e le possibili frizioni interne, nonché il ruolo delle fondazioni bancarie, che potrebbero voler bilanciare l’influenza del capitale francese. Gli analisti mettono anche in guardia sui rischi di distorcere il mercato, qualora l’operazione venisse approvata senza adeguati aggiustamenti normativi e regolamentari.
Per quanto riguarda i protagonisti, Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Banco Bpm, ha recentemente dichiarato che la fusione potrebbe rappresentare una “buona opportunità per l’economia italiana”, vista la complementarietà dei due gruppi e i vantaggi che ne deriverebbero in termini di sinergie industriali. Jérôme Grivet, vice-presidente di Crédit Agricole, ha però messo in evidenza che restano ancora in fase di valutazione diversi scenari possibili per la relazione tra i due istituti.

L’operazione, se dovesse andare in porto, non si limiterebbe a un semplice accordo societario, ma rappresenterebbe un importante test per la politica industriale italiana e un banco di prova per la capacità del Paese di attrarre investimenti esteri, tutelando nel contempo i propri interessi nazionali. La questione è ancora aperta e, come sempre, il verdetto finale dipenderà dalla dialettica tra il mercato, la politica e le autorità di vigilanza europee.
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