Il vino veneto tra attacchi mediatici e sfide globali: ora serve un fronte comune
di Matteo ScolariNon bastassero le incognite dei mercati internazionali, i dazi penalizzanti, le normative sempre più restrittive e le politiche sanitarie che rischiano di ridurre il vino a un bene sotto osservazione, ora sul comparto vitivinicolo veneto si è abbattuto anche un inatteso caso mediatico. Le parole del dottor Franco Berrino, pronunciate in diretta su Rai Uno, hanno descritto la Valpolicella e l’area del Prosecco come territori devastati dai pesticidi, privi di biodiversità e in grado di produrre soltanto “vini pieni di veleni”. Un attacco frontale, destinato a lasciare segni profondi non tanto sul piano scientifico — visto che nessuna evidenza seria conferma simili accuse — quanto su quello dell’opinione pubblica e dell’immagine.
Le reazioni non si sono fatte attendere: istituzioni locali, Coldiretti e rappresentanti politici hanno respinto con fermezza dichiarazioni giudicate «gravi e infondate». Il messaggio è chiaro: chi produce vino in Veneto non solo opera dentro un quadro normativo tra i più rigidi d’Europa, ma investe ogni giorno in innovazione, sostenibilità e qualità. L’immagine di campagne “avvelenate” non corrisponde alla realtà di un comparto che ha fatto della tracciabilità e del rispetto ambientale un punto di forza.
Ma l’episodio, al di là della polemica contingente, accende un riflettore più ampio. Come ha ricordato Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola e voce autorevole della Valpolicella Classica, il vero terreno di sfida non è soltanto agronomico. Il clima cambia, i mercati oscillano, la sensibilità sociale verso l’alcol si fa più severa: in questo scenario, avere un vino eccellente non basta più. Occorre fare sistema, costruire un racconto comune, trasformare la qualità in valore percepito e condiviso.

Il vino veneto, e in particolare quello della Valpolicella, non può permettersi di subire passivamente attacchi mediatici o scosse geopolitiche. Deve reagire con la forza della coesione, della comunicazione e della consapevolezza del proprio ruolo culturale prima ancora che economico. È necessario che produttori, consorzi, istituzioni e mondo della ricerca si muovano all’unisono per tutelare un patrimonio che appartiene non solo all’economia locale, ma all’identità stessa del Made in Italy.
In fondo, il vino non è una semplice bevanda: è paesaggio, storia, comunità. Difenderlo significa difendere un modello di sviluppo che tiene insieme territorio e tradizione, cultura e lavoro, salute e convivialità. È tempo che la Valpolicella e le altre denominazioni venete si presentino compatte, non come somma di eccellenze individuali, ma come rete capace di dialogare col mondo, respingere semplificazioni e riaffermare un valore che va oltre la bottiglia.
Il futuro del vino, oggi più che mai, dipende da questo: dalla capacità di farsi rispettare senza arroganza, ma con la forza della verità, della qualità e dell’unità.
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