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Teresa Bellanova: «Serve un nuovo patto sociale europeo per dare futuro ai giovani»

di Matteo Scolari
A Verona il convegno promosso da Italia Viva. L’ex ministra chiama a raccolta politica, imprese e sindacati: «Non si può giudicare il lavoro con gli occhi del passato»

Un pubblico attento e partecipe ha assistito questo pomeriggio al convegno organizzato da Italia Viva in Borgo Roma, dedicato a temi di grande rilevanza per il presente e il futuro: “Giovani, il lavoro che cambia: qualità e nuove dinamiche di adattamento al mercato globale”. Una serata intensa e ricca di contenuti, che ha visto il dialogo tra esperienze politiche, sindacali e imprenditoriali: tra gli ospiti principali, Teresa Bellanova, dirigente nazionale di Italia Viva e già ministra delle Politiche Agricole e sottosegretaria alle Politche del Lavoro; Paolo Barile, responsabile risorse umane del Gruppo Edison Next, e Giampaolo Veghini, segretario generale della Cisl Verona. Ha portato i saluti iniziali anche Sara Annechini, presidente provinciale di Italia Viva, che ha ricordato l’importanza della partecipazione al referendum dell’8 e 9 giugno. Cinque i quesiti, uno sulla cittadinanza e quattro sul lavoro, poco discussi sui media, ma decisivi per il futuro dell’occupazione.

Il tavolo dei relatori: Veghini, Barile e Bellanova.

L’onorevole Bellanova ha esordito sottolineando la poca visibilità concessa al tema referendario e l’urgenza di una riflessione pubblica consapevole sui quesiti che riguardano, in particolare, il Jobs Act, che il comitato promotore vorrebbe in parte cancellare, ma che l‘ex ministro ha ritenuto essere, invece, ancora uno strumento di tenuta sociale fondamentale in ambito occupazionale.

Ha poi rimarcato come molti dei temi oggi in discussione siano frutto di un lungo percorso iniziato anni fa, durante il suo mandato al governo. Ha ricordato l’esperienza di Garanzia Giovani, l’impegno nella promozione dei contratti stabili, e la progressiva riduzione del tasso di disoccupazione giovanile: «Siamo passati dal 42% del 2014 a percentuali molto più contenute oggi giorno (19%), e questo grazie a politiche che hanno incentivato l’ingresso stabile dei giovani nel mondo del lavoro».

Teresa Bellanova.

Uno dei punti più incisivi è stato quello legato al PNRR: «A un anno dalla scadenza, abbiamo speso meno del 50% delle risorse. E non si tratta solo di un problema di quantità, ma soprattutto di capacità di progettazione e spesa. La differenza tra un’azienda che investe davvero in innovazione e una che vive di rendita è tutta qui». Bellanova ha insistito più volte sul fatto che i fondi vanno destinati a chi ha idee chiare, visione strategica e obiettivi di lungo termine: «Non mi interessa se un’azienda prende tre volte le risorse di un’altra. Mi interessa che quelle risorse servano a creare futuro, occupazione di qualità, condizioni dignitose».

Ampio spazio è stato dedicato al tema del rapporto tra giovani e lavoro, con parole molto nette: «Non possiamo giudicare i giovani con i parametri del passato. Se oggi un ragazzo ci chiede flessibilità, qualità della vita, equilibrio tra vita privata e lavoro, non sta sbagliando. Sta semplicemente interpretando il suo tempo». E ancora: «Chi parla di “giovani che non hanno voglia di lavorare” fa un torto alla realtà. I giovani hanno voglia di lavorare, ma vogliono farlo in modo consapevole, libero, dignitoso. Vogliono autonomia, non sfruttamento».

Teresa Bellanova con Sara Annechini.

Molto chiaro anche il passaggio sulle esperienze lavorative e la formazione: «Abbiamo difeso l’alternanza scuola-lavoro anche quando piovevano critiche. Perché crediamo che il lavoro non si impari solo sui libri, ma nelle aziende. Però questo va fatto con serietà: uno stage non può diventare lavoro gratuito, non può essere un modo per mascherare il lavoro nero. Deve essere un’opportunità vera di apprendimento e crescita».

Sul piano europeo, Bellanova ha lanciato un messaggio fortissimo: «Se davvero crediamo in un’Europa sociale, dobbiamo armonizzare welfare, tutele, contrattazione. Non possiamo accettare che all’interno dell’Unione ci sia concorrenza sleale tra lavoratori. Un’azienda che delocalizza non può essere favorita solo perché va in un Paese con salari più bassi. Questo danneggia l’Italia, i suoi lavoratori e la sua capacità produttiva».

Un momento del convegno.

Altro punto centrale è stato il ruolo del sindacato: «Abbiamo bisogno di un sindacato che si ricomponga, che torni a essere uno strumento forte e unitario di rappresentanza. Un sindacato frammentato rischia non solo di essere debole, ma anche di fare male a chi dovrebbe difendere».

Infine, ha lanciato un monito sulla necessità di rivedere i modelli di welfare: «Abbiamo un sistema troppo rigido, pensato per un lavoro che non esiste più. Serve flessibilità, mobilità, accompagnamento formativo, protezione vera per chi cambia, sperimenta, rientra dopo esperienze all’estero».

A chiusura del suo intervento, un appello alla politica: «Non si può inseguire solo il consenso. Una forza politica degna deve lavorare per lasciare qualcosa di utile alle persone, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro. Questa è la vera responsabilità». Un messaggio chiaro, potente e che ha lasciato il segno.

Molto concreto anche l’intervento di Paolo Barile, che ha restituito una fotografia precisa delle aspettative dei giovani visti dal punto di vista delle imprese. «Una volta i giovani cercavano stabilità, prospettiva e carriera. Oggi, chiedono flessibilità, smart working, benessere psicofisico, opportunità di crescita più che gerarchie». Ha raccontato episodi reali: «Nei colloqui di lavoro, una delle prime domande è “Quanti giorni di smart working sono previsti?” ancor prima di chiedere del ruolo o dello stipendio. Questo ci dice molto di come stia cambiando l’approccio al lavoro».

Barile ha voluto anche lanciare un messaggio alle aziende: «L’innovazione deve andare di pari passo con la formazione. I giovani la chiedono, ma è fondamentale che le imprese la pretendano. Una competenza oggi dura cinque anni: se non investi, sei fuori dal mercato». Ha citato l’esperienza di Edison Next, dove i dipendenti fanno almeno una settimana all’anno di formazione oltre a quella obbligatoria prevista: «Formazione tecnica, trasversale, linguistica. È un investimento indispensabile. E non riguarda solo i nuovi assunti: riguarda tutti, anche i dirigenti».

Una foto di gruppo.

Ha poi toccato un altro nodo importante: l’incertezza dei mestieri futuri. «Molti lavori che oggi esistono non esistevano due anni fa. Altri nasceranno domani. Le aziende devono diventare ambienti capaci di accogliere e coltivare competenze nuove, in continuo aggiornamento. E questo richiede anche un cambio culturale profondo».

Molto articolato anche l’intervento di Giampaolo Veghini, che ha portato la voce del sindacato con uno sguardo di lungo periodo. «Verona ha il triste primato di essere stata per tre anni consecutivi la città con il più alto numero di morti sul lavoro. È inaccettabile. La sicurezza deve essere un diritto garantito, e la formazione è lo strumento principale per ottenerla». Ha parlato di formazione in senso ampio, come investimento sulla consapevolezza dei rischi, sulla cultura della prevenzione e sull’educazione sin dalle scuole: «Non possiamo continuare a formare i lavoratori solo quando sono già dentro le aziende. Serve una formazione diffusa, precoce e capillare, già tra i banchi».

Veghini ha poi sottolineato come il mondo del lavoro stia cambiando profondamente: «Non siamo più una provincia solo manifatturiera. Oggi il 65% della forza lavoro veronese è impiegata nel terziario: turismo, commercio, servizi. Questo comporta nuove esigenze, nuovi diritti, nuovi rischi». Ha richiamato anche il bisogno di costruire un welfare più giusto, europeo, accessibile a tutti: «Il welfare aziendale è utile, ma non basta. Non possiamo pensare che la qualità della vita dipenda da benefit facoltativi. Serve un welfare universale, che tuteli tutti i lavoratori, anche quelli più fragili, anche quelli discontinui».

Infine, ha rilanciato il ruolo del sindacato come attore di innovazione: «Il sindacato deve saper parlare con le imprese, con le istituzioni, ma soprattutto con le nuove generazioni. Non possiamo limitarci a difendere il lavoro che c’era: dobbiamo contribuire a costruire il lavoro che verrà».

Sara Annechini.

La serata si è conclusa con un saluto corale. Sara Annechini ha rivolto al pubblico un invito concreto: «Ognuno porti a casa una riflessione, una nuova consapevolezza, un impegno. Se uscendo da qui scegliamo di parlare di questi temi con amici, figli, colleghi, allora l’incontro avrà raggiunto il suo scopo».

A chiudere, l’ultima riflessione dell’onorevole Bellanova: «Giudicare i giovani con gli occhi del passato è inutile. Se vogliamo costruire un futuro migliore, dobbiamo ascoltarli, accompagnarli, crederci insieme a loro».

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