Vedovato: «Innovazione? Significa fare cose nuove che migliorano la vita umana»
di Matteo ScolariInnovare significa migliorare la condizione umana. Questo è il pensiero profondo che guida l’azione di Antonello Vedovato, presidente di Fondazione Edulife, da sempre impegnata nell’educazione dei giovani attraverso progetti innovativi come 311 Verona, l’hub di co-working, co-learning e accelerazione digitale nato nel 2016. Oggi 311 è presente anche a Hangzhou, in Cina, e si conferma uno degli spazi più vivaci e aperti all’innovazione della città di Verona.
Nel percorso verso il Premio Innovazione 2025, Vedovato offre una lettura umanistica e lungimirante del concetto di innovazione, senza dimenticare i temi chiave della nostra epoca: intelligenza artificiale, sostenibilità e alleanza intergenerazionale.
Partiamo dal 311: come nasce questo progetto e qual è la sua missione?
311 nasce nel 2016 come spazio educativo, prima ancora che tecnologico. Noi come Fondazione Edulife ci ispiriamo al carisma salesiano di Don Bosco, e da lì è venuta l’idea di far convivere i giovani con gli adulti, in un contesto che metta in relazione intelligenze, passioni e progetti di vita. Il nome richiama proprio il 31 gennaio, festa di Don Bosco. Ogni anno coinvolgiamo circa 900 giovani, che lavorano fianco a fianco con 130 professionisti del mondo digitale. È uno spazio dove il co-working diventa occasione educativa e dove le start-up possono crescere, soprattutto in settori legati all’innovazione sociale e tecnologica.
Che cos’è per lei l’innovazione?
Dal punto di vista etimologico, innovazione significa “fare qualcosa di nuovo”. L’umano da sempre innova: dalla ruota all’intelligenza artificiale. Ma perché innova? Per migliorare la propria condizione. Per me, innovazione è questo: fare cose nuove che migliorano la vita umana. Se invece non la migliora, diventa devoluzione, una regressione. Dobbiamo avere chiaro che innovare significa creare un domani migliore dell’oggi. E quindi prima ancora di capire cos’è l’innovazione, dobbiamo capire cos’è la condizione umana e cosa può migliorarla.
L’intelligenza artificiale: progresso straordinario o rischio da gestire?
L’intelligenza artificiale è una tecnologia dirompente, e non è una moda: è arrivata per restare. È un tassello delle cosiddette tecnologie esponenziali, che si inseriscono in quella che molti chiamano “società della complessità” o “capitalismo della sorveglianza”. Dal mio punto di vista, l’AI è prima di tutto un fattore geopolitico. Le sue principali evoluzioni stanno avvenendo negli Stati Uniti, in Cina, in Russia, in Israele. E oggi ci rendiamo conto che con i chatbot, come ChatGPT, abbiamo perso il monopolio del linguaggio. Questo ci inquieta, perché tocca una dimensione intellettuale che pensavamo solo umana. Ma apre anche possibilità straordinarie, se usata in modo consapevole e a favore del bene comune.
Cosa state facendo in concreto con Fondazione Edulife su questi temi?
Abbiamo due laboratori attivi sull’AI, uno a Verona e uno in Cina, e cerchiamo sempre di mettere insieme le nuove generazioni con quelle già attive nel mondo del lavoro. L’obiettivo è creare una vera alleanza intergenerazionale che permetta di usare l’intelligenza artificiale per potenziare l’intelligenza umana, non per sostituirla. Organizziamo anche eventi concreti come il CyberGame nazionale, che si terrà proprio la prossima settimana al 311 Verona. Coinvolgeremo oltre 200 giovani da tutta Italia in un’esperienza formativa sulla cyber security, tema importante per il futuro.
Come possiamo usare l’innovazione per costruire un mondo migliore?
Serve pensare a lungo termine. Consiglio due libri che mi hanno ispirato: “La scorciatoia” di Nello Cristianini, per capire come funziona davvero l’intelligenza artificiale, e “Come diventare buoni antenati” di Roman Krznaric, che racconta come alcune popolazioni native prendessero decisioni pensando alla settima generazione successiva. Ecco: anche noi dobbiamo fare lo stesso. Quando parliamo di innovazione, dobbiamo pensare a dove vivranno i nostri figli e nipoti. Dobbiamo agire per invertire tre grandi divari: ecologico, sociale e culturale. Se riusciremo a combinare la freschezza delle nuove generazioni con l’esperienza delle precedenti, potremo davvero costruire nuovi modelli di sostenibilità economica e sociale.
Un messaggio finale per i giovani che parteciperanno al Premio Innovazione?
Credo che la più grande innovazione che si possa fare sia aiutare ogni giovane a scoprire la propria vocazione e il proprio progetto esistenziale. È da lì che parte tutto. Se diamo ai giovani gli spazi per esprimersi, come il 311, e occasioni come il Cyber Game, li mettiamo nelle condizioni di provare, di confrontarsi, di sbagliare e di crescere. E Verona, nonostante qualche diffidenza iniziale, è stata una città fertile per tutto questo. 311 Verona esiste perché la città l’ha sostenuto. Di questo, come Fondazione Edulife, siamo davvero grati.
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