Nord Italia più produttivo: a Verona 251 giorni lavorati e stipendi sopra la media nazionale
di Matteo ScolariNel 2023, in Italia si è consolidata una forte differenza territoriale sul fronte del lavoro, della produttività e delle retribuzioni. Secondo i dati pubblicati dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre, gli occupati del Nord Italia lavorano in media 27 giorni in più all’anno rispetto ai colleghi del Sud. A determinare questo scarto, non è certo la diversa “attitudine” al lavoro, ma fattori strutturali che penalizzano il Mezzogiorno, come l’alta incidenza di lavoro sommerso, contratti part-time involontari e un forte peso dell’occupazione stagionale.
Nel dettaglio, il Nord lavora in media 255 giorni all’anno, contro i 228 del Sud. La media nazionale è di 246,1 giorni. A Verona, i lavoratori hanno registrato una media di 251,7 giornate retribuite, posizionandosi a metà classifica tra le province del Settentrione. Le città più “laboriose” sono risultate Lecco, Biella e Vicenza, tutte sopra i 263 giorni lavorati, mentre in fondo alla graduatoria si trovano Vibo Valentia (193,3 giorni) e Nuoro (205,2).

Le differenze non si fermano al numero di giornate lavorate. Anche le retribuzioni medie mostrano un netto divario: nel Nord Italia, la retribuzione giornaliera lorda media è pari a 104 euro, contro i 77 euro del Sud, con un gap del 35%. Il Veneto si colloca appena sotto la media settentrionale con 95,62 euro al giorno, mentre a Verona la retribuzione annua lorda è di 24.239 euro, corrispondente a circa 96,30 euro al giorno, superiore alla media italiana (96,14 euro).

Il legame tra numero di giorni lavorati, produttività e stipendi è evidente: nelle aree dove si lavora di più e meglio, si guadagna anche di più. A questo si aggiunge la concentrazione, nel Nord, di grandi imprese, multinazionali e settori ad alto valore aggiunto – automotive, meccatronica, biomedicale – che spingono in alto sia le buste paga che il livello di qualificazione professionale.
Per ridurre il divario e innalzare i salari, secondo la CGIA servono misure strutturali: meno Irpef sul lavoro, maggiore diffusione della contrattazione di secondo livello, e lotta decisa all’abuso del part-time involontario. L’Istat stima che solo il 23% delle imprese italiane con oltre 10 dipendenti applichi accordi aziendali integrativi, coinvolgendo circa 5,5 milioni di lavoratori. Estendere questi strumenti consentirebbe di premiare il merito, incentivare la produttività e contrastare l’erosione del potere d’acquisto aggravata dall’inflazione.
In un Paese dove il dibattito si concentra spesso sul salario minimo legale, la CGIA rilancia dunque la centralità di una politica retributiva fondata sulla qualità del lavoro, sul riconoscimento delle specificità territoriali e sul rafforzamento della contrattazione tra imprese e lavoratori.
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